di Damiano Palano
Nel
discorso tenuto a Atene in occasione del viaggio apostolico del dicembre 2021, Papa
Francesco ha fatto proprie le parole con cui San Gregorio di Nazianzo aveva
celebrato la città greca, «aurea e dispensatrice di bene». Parlando dai luoghi
in cui nacque l’idea occidentale di democrazia, ha anche formulato una diagnosi
sullo stato odierno dei sistemi politici occidentali. Riconoscendo la tendenza
verso un «arretramento della democrazia», Francesco ha innanzitutto accolto la
lettura proposta da molti politologi contemporanei. E, in secondo luogo, ha sottolineato
come sia soprattutto una minaccia ‘interna’ a corrodere le istituzioni
democratiche. «In diverse società, preoccupate dalla sicurezza e anestetizzate
dal consumismo», ha osservato, «stanchezza e malcontento portano a una sorta di
‘scetticismo democratico’», alimentato anche «dalla distanza dalle istituzioni,
dal timore della perdita di identità, dalla burocrazia». Molte ricerche hanno infatti
messo in luce il declino (apparentemente irreversibile) della fiducia riposta
dai cittadini nella classe politica e nelle istituzioni. I partiti e i leader
«populisti», che negli ultimi anni hanno mietuto voti, sono spesso riusciti a
capitalizzare a loro favore la sfiducia contro la «casta» e le élite. Ma l’impossibilità
di mantenere le promesse ha invariabilmente finito col generare una sorta di
corto circuito. E nuove delusioni hanno fatto crescere ulteriormente lo
scetticismo nei confronti della politica.
Naturalmente
sarebbe ingenuo pensare che soluzioni semplici – come quelle spesso indicate
dai leader «populisti» – siano in grado di invertire la rotta. Uno sguardo realistico
impone infatti di riconoscere che le nostre istituzioni sono investite (e saranno
investite sempre più nei prossimi anni) da sfide economiche, tecnologiche e
ambientali dalla portata troppo ampia perché si possa pensare a rimedi palingenetici.
Anche l’ipotesi di un rafforzamento del potere decisionale degli esecutivi potrebbe
essere fuorviante. E un contributo potrebbe invece venire proprio dall’intensificazione
della partecipazione. Questa è per esempio la proposta che viene avanzata in Una
nuova democrazia. Come i cittadini possono ricostruirla dal basso (Il
Margine, pp. 97), un volumetto firmato dal filosofo Charles Taylor insieme con
Patrizia Nanz e Madeleine Beaubien Taylor. L’idea alla base del libro – che è
per molti versi una sorta di manifesto per un rinnovamento politico che parta
dalle comunità locali – è che le democrazie occidentali si trovano dinanzi a
due problemi interconnessi: per un verso, i rappresentanti eletti non sono in
grado di individuare le politiche più efficaci; per l’altro, evitano di
prendere decisioni drastiche perché temono di perdere il sostegno dei loro
elettori. Al fondo di entrambe le questioni si trova l’erosione dei canali
organizzati di trasmissione degli interessi, che consentivano in passato la
formazione delle domande e il loro trasferimento verso le forze politiche. Se
spesso, per risolvere tale scollamento, si è pensato al rinvigorimento dei
partiti, i tre estensori del manifesto puntano invece sulle comunità locali.
«Solo se valorizziamo e rinvigoriamo la democrazia dalla base, la cittadinanza
si chiarirà le idee riguardo a che cosa chiedere o a quale futuro immaginarsi
per la propria comunità o regione», scrivono infatti. In questa chiave, nel
libro vengono presentati soprattutto degli esempi virtuosi di comunità locali che,
in Europa e in Nord-America, sono state in grado di sperimentare soluzioni per
superare le conseguenze della de-industrializzazione. Il punto che viene
sottolineato non è però relativo al tipo di risposta offerta alla
deindustrializzazione, bensì all’arresto dell’erosione dei legami comunitari e al
rafforzamento dell’identità e dell’orgoglio della comunità. La discussione e la
partecipazione – prima ancora che produrre soluzioni – ricostituiscono cioè il
senso stesso dell’azione collettiva, come presupposto per avanzare richieste ai
rappresentanti politici. Naturalmente non tutti gli esempi presentati in Una
nuova democrazia sono replicabili. E gli ostacoli al raggiungimento degli
obiettivi non sono trascurabili. Ma si tratta di esperienze su cui vale la pena
meditare. Perché è davvero probabile che la strada per ricostituire le fragili
basi dei nostri sistemi politici passi anche da ciò che resta delle nostre
comunità.