lunedì 13 dicembre 2021

Dewey e Niebuhr nella Grande Depressione. "Intelligenza e potere" di Giovanni Dessì


 

di Damiano Palano

Questa recensione è apparsa sul quotidiano "Avvenire".

Nel marzo 1932, mentre cominciava la campagna elettorale che avrebbe portato Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca, la rivista «The World Tomorrow» affidò a Reinhold Niebuhr l’intervento di apertura di un dibattito sul futuro degli Stati Uniti. Dinanzi alla crisi sociale inaugurata dal crollo di Wall Street, il pastore protestante non era certo tenero nei confronti del sistema economico americano. La sua analisi, come scriveva esplicitamente, partiva dal presupposto che il capitalismo stesse per morire e dalla convinzione che quella fine fosse del tutto meritata. Niebuhr – allora sostenitore di un socialismo democratico – avrebbe in seguito modificato le sue opinioni su questo punto. Negli anni della Grande Depressione la sua posizione era invece decisamente severa. Più che delineare un modello sociale alternativo, Niebuhr si limitava però a rivolgere i propri strali polemici contro quella cultura liberale, che, a suo avviso, aveva dominato la scena intellettuale nei decenni precedenti e di cui riconosceva il principale alfiere in John Dewey. Qualche giorno dopo, il filosofo del pragmatismo e della democrazia non mancò di replicare alla critica. E quella discussione è ora al centro del libro di Giovanni Dessì, Intelligenza e potere. Dewey e Niebuhr di fronte alla Grande Crisi (Castelvecchi, pp. 146, euro 175.0), che propone anche un ritratto dei due studiosi, mostrando come le loro posizioni non fossero davvero così antitetiche. Ciò che Niebuhr rimproverava a Dewey era in fondo di sopravvalutare la capacità dell’educazione di influire sulla politica. Anche se i suoi riferimenti erano ben diversi da quelli di Machiavelli e Hobbes, anche Niebuhr si collocava infatti nella schiera dei «realisti politici» e rimproverava ai liberali sia di ignorare le dinamiche alla base del comportamento dei gruppi sociali sia di ritenere che l’educazione potesse consentire «la completa sublimazione degli impulsi sociali» propria di gruppi, classi e nazioni. Niebuhr dissentiva inoltre dalla convinzione che la crisi fosse dovuta al mancato utilizzo di un approccio scientifico all’economia e alla società. Ai suoi occhi, i conflitti sociali non potevano infatti essere risolti dalla chiarificazione delle forze in campo, così come i privilegi non potevano essere eliminati solo grazie alla discussione pubblica. Nel replicare, Dewey obiettò che l’immagine del liberalismo proposta da Niebuhr era estremamente vaga. E intravide, al fondo del ragionamento del proprio avversario polemico, una filosofia della storia che indeboliva il fronte di quanti ambivano a modificare gli assetti sociali. In seguito, il filosofo si confrontò comunque con le tesi di Niebuhr, riconoscendo come l’«intelligenza» fosse sempre influenzata dagli interessi, ma conservò la fiducia nelle potenzialità della scienza di migliorare la convivenza collettiva. A dispetto delle istanze che li avvicinavano, i due pensatori – che, in tempi diversi, incisero in profondità sul dibattito americano – vedevano però la società e la politica in modo davvero diverso. E dunque, come osserva Dessì, il loro non poteva che essere un incontro per gran parte mancato.

Damiano Palano

 

 

 

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