di Damiano Palano
Questa recensione è apparsa sul quotidiano "Avvenire"
Nell’ultimo anno le misure straordinarie adottate per fronteggiare la pandemia hanno indotto molti osservatori a chiedersi se stia avvenendo qualcosa di simile alla trasformazione che si produsse tra le due guerre mondiali. Naturalmente ciò che abbiamo davanti ha ben poco a che vedere con i totalitarismi novecenteschi. E dunque il paragone rischia di essere del tutto fuorviante. Ma senza dubbio nuove tensioni potrebbero incidere sul rapporto tra Stato e società, oltre che sulla stessa relazione tra libertà e autorità. Per decifrare le novità nelle modalità di esercizio del potere avremmo però bisogno di un diverso vocabolario teorico. Ed è anche con questo spirito che si può leggere il volume di Flavio Felice, Popolarismo liberale. Le parole e i concetti (Scholé-Morcelliana, pp. 157, euro 13.00), che torna a Luigi Sturzo – ma anche a Lord Acton, Wilhelm Röpke e Sergio Cotta – per mettere insieme una sorta di «cassetta degli attrezzi» con cui interpretare le sfide del tempo presente. Come scrive Felice nelle pagine introduttive, l’emergenza che stiamo vivendo non sta solo modificando le nostre abitudini. Con l’obiettivo di difendere energicamente la vita umana, viene infatti investita la sfera delle libertà. Ma a ben guardare non si tratta di una dinamica davvero nuova. «L’emergenza», osserva Felice, «non fa altro che accelerare o porre in evidenza processi già in atto da tempo, ponendoci di fronte al fatto che il potere è in grado di esercitare la sovranità sospendendo parti dell’ordinamento». E, dinanzi al disorientamento della società civile, sembra prendere corpo una sorta di «paternalismo liberale», che vede il sovrano presentare se stesso come il pastore in grado di guidare il popolo in nome del suo bene. Un paternalismo che sostituisce la responsabilità individuale con forme di orientamento dall’alto dei nostri stili di vita. E che in fondo materializza lo spettro evocato da Tocqueville, quando nella Democrazia in America ipotizzava che il crescente individualismo potesse spingere verso un nuovo tipo di dispotismo: «un potere immenso e tutelare» che si incarica di assicurare i beni dei cittadini e di vegliare sulla loro sorte.
La
riflessione di Sturzo era ovviamente anche il portato della lunga stagione che
aveva visto nascere nuovi regimi dispotici e che aveva gettato il Vecchio
continente nell’orrore della guerra e degli stermini di massa. Quella stagione
è davvero lontana dal clima in cui viviamo, e ogni paragone tra le crisi di un
secolo fa e quelle che stiamo vivendo sarebbe quantomeno improprio. Ciò
nondimeno sarebbe davvero colpevole ritenere che le preoccupazioni del prete di
Caltagirone e la sua riflessione sulle caratteristiche di una società
«plurarchica» non abbiano più nulla da dirci. Anche se le insidie che ci
attendono sono nuove, quegli strumenti rimangono davvero utili. E nei prossimi
anni dovremo così ricorrere spesso a quella preziosa «cassetta degli attrezzi».
Damiano Palano