Damiano Palano
Dopo quasi duemila e quattrocento anni, ogni discussione su cosa sia la politica deve fare ancora i conti con la definizione dell’essere umano come zoon politikon con cui si apre la Politica di Aristotele. Naturalmente la nostra concezione della politica non è più quella che avevano i Greci e di cui lo Stagirita fissò gli elementi cardinali. Con quella formula, più che a definire la politica, Aristotele puntava d’altronde a chiarire quali fossero i caratteri davvero distintivi degli esseri umani. E quando qualificava la partecipazione alla vita della polis come la più elevata attività cui gli uomini si potessero dedicare, restituiva così un’immagine davvero lontana da quella moderna, plasmata dall’esperienza dello Stato moderno. La Politica non fu comunque l’unico testo che il filosofo dedicò a un tema che riteneva tanto importante. Steso quasi certamente in un periodo di tempo piuttosto lungo, il trattato crebbe infatti contestualmente alla raccolta sistematica di informazioni sulle costituzioni delle città greche cui Aristotele – secondo la testimonianza di commentatori antichi, come soprattutto Diogene Laerzio – si dedicò per decenni. In altre parole, secondo questa ipotesi, la Politica sarebbe per molti versi una sorta di cantiere, cui il filosofo lavorò per molti anni, mentre compiva una meticolosa indagine sull’assetto istituzionale e sulle vidende di centinaia di città-Stato greche, che erano state indipendenti o che lo erano ancora nella seconda metà del IV secolo a.C. Di quelle centinaia di costituzioni non ci è pervenuto quasi nulla. Ciò nondimeno, alcuni studiosi hanno cercato di ricostruire quantomeno una ‘mappa’ di quel lavoro. E di questi tentativi tiene conto la ponderosa edizione degli Scritti politici di Aristotele curata da Federico Leonardi (Rubbettino, pp. 693, euro 48.00), che – oltre alla Politica e alla Costituzione degli Ateniesi – raccoglie testi spesso di incerta attribuzione, come i tre libri dell’Economia, la lettera ad Alessandro sul Regno, i frammenti dei dialoghi politici, oltre che alcune notizie relative alle costituzioni studiate dallo Stagirita e dai suoi allievi.
L’elemento
su cui scommette l’edizione curata da Leonardi consiste proprio nella catalogazione
delle 148 costituzioni di cui il grecista svizzero Olaf Gigon (1912-1998)
ritrovò le tracce essenziali. Com’è noto, l’unica costituzione di Aristotele
che ci è pervenuta è quella di Atene. Nel 1879 alcuni papiri, privi di
indicazioni sul loro autore, furono ritrovati a Ermopoli, in Egitto. Qualche
anno dopo, un paleografo del British Museum, Frederic George Kenyon, riconobbe
in quella storia di Atene – in alcuni punti anche piuttosto imprecisa – proprio
uno di quei documenti perduti in cui Aristotele (o qualche allievo, sotto la
sua direzione) ricostruiva le tappe dell’evoluzione politica e degli assetti
istituzionali delle città greche. Anche oggi non tutti gli studiosi sono convinti
che il testo della Costituzione di Atene debba essere davvero attribuito
ad Aristotele. E negli ultimi decenni la filologia aristotelica ha peraltro
sollevato molti dubbi anche sull’idea che la raccolta di costituzioni sia mai esistita.
Secondo Gigon – che Leonardi segue (confidando nell’utilità dell’operazione) –
le costituzioni invece non solo esistevano, ma il loro numero doveva
avvicinarsi a quello riferito da Diogene Laerzio. Lo studioso svizzero giunse a
questo numero incrociando i titoli di costituzioni esplicitamente citati in
commentari antichi e da autori come Cicerone, ma in particolare ricorrendo ai
frammenti o ai riassunti riportati da Eraclide Lembo e Nicola da Damasco.
Infine, ipotizzò l’esistenza di testi specifici a partire dai riferimenti a
città presenti nelle opere aristoteliche, Gigon giunse al numero complessivo di
148. Nel volume curato da Leonardi, il lettore troverà dunque le informazioni
relative a queste costituzioni, a partire naturalmente da quelle di Atene,
Sparta, Creta e Cartagine, che peraltro Aristotele considera nella Politica.
Ma nel catalogo si trovano anche dettagli relativi a casi assai meno noti. Per
alcune città, le notizie sono però davvero scarne, e non di rado sono relative
a episodi mitologici. Una simile disomogeneità potrebbe mettere in discussione
l’attendibilità della ricostruzione di Gigon. Ma non devono essere trascurate
alcune possibili spiegazioni. In alcuni casi Aristotele forse si trovò dinanzi
alla difficoltà reperire informazioni, sia perché molte città greche avevano
ormai perso la loro autonomia da molti anni, sia perché l’interesse nei
confronti della politica andava scemando. Inoltre, i commentatori successivi di
cui ci sono pervenuti i frammenti potrebbero aver selezionato i passi a loro
avviso rilevanti sulla base della sensibilità ellenistica, che ormai privilegiava
gli elementi del fantastico, mentre risultava piuttosto disinteressata ai dati
istituzionali e in generale alla politica.
Da
considerare con una certa cautela, il catalogo di costituzioni raccolto nel
volume curato da Leonardi contribuisce comunque a chiarire, una volta di più, quale
fosse l’approccio di Aristotele allo studio della politica. Anche se ci resta
ben poco dei materiali che andarono ad alimentare quel cantiere, la ricerca
filosofica dello Stagirita si fondava infatti su una conoscenza storica della
vita delle comunità, basata sulla raccolta di documenti attendibili. L’indagine
sulla miglior forma di governo scaturiva così da una comparazione, per molti
versi, di taglio ‘politologico’. E per quanto il catalogo compilato da Gigon
sia destinato a sollevare interrogativi sull’archivio perduto delle antiche
costituzioni, la nuova edizione degli scritti politici di Aristotele rimane uno
strumento utile. Che conferma, una volta di più, come lo studio dell’«animale
politico» non possa fare a meno del filosofo di Stagira.
Damiano Palano
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