di Damiano Palano
Questa testo - che è uno stralcio da un più ampio articolo pubblicato sulla rivista "Vita e Pensiero" (3/2021) - è apparso sul quotidiano "Il Foglio" il 16 luglio 2021.
Pochi mesi prima di
morire, nel marzo 1895, Friedrich Engels scrisse una densa introduzione al
volumetto sulle Lotte di classe in Francia, in cui Marx aveva
ricostruito gli eventi del 1848. Tornando a rileggere quelle pagine, Engels non
esitava a riconoscere come l’intera interpretazione dell’amico scomparso fosse stata
viziata da una serie di errori fatali. «La storia», ammetteva Engels, «ha dato
torto anche a noi», «ha rivelato che la nostra concezione di allora era
un’illusione». Le diverse crisi dell’economia capitalistica non avevano
provocato il tanto atteso «crollo» generale, né l’impoverimento crescente delle
masse operaie. Ma, soprattutto, alcune trasformazioni tecniche avevano radicalmente
modificato le modalità della lotta politica. «Se le grandi città sono diventate
notevolmente più grandi», scriveva, «gli eserciti si sono accresciuti ancora di
più», e «l’armamento di questa massa di soldati è diventato incomparabilmente
più efficace». Le barricate che Marx aveva celebrato in tante occasioni non potevano
dunque più rappresentare un esempio cui guardare. La direzione era piuttosto
indicata da quanto era avvenuto in Germania, dove il partito socialdemocratico aveva
iniziato infatti a partecipare alle elezioni, conquistando consensi sempre più
ampi e avviandosi verso quella che appariva come una inevitabile e pacifica presa
del potere.
Nel corso del Novecento, le barricate non sono del
tutto scomparse dal repertorio dei movimenti di protesta, e talvolta hanno
fatto una fugace ricomparsa, come ci ricorda puntualmente l’iconografia del «maggio
68». Ma, come Engels aveva intuito, le vere protagoniste del XX secolo sono
state proprio le «masse», organizzate dai partiti nelle democrazie competitive,
o mobilitate «dall’alto» nei regimi autoritari e totalitari. E a insidiarne la
centralità sono stati semmai il «pubblico» dei lettori di giornali e, più
tardi, le platee dello spettacolo televisivo. Negli ultimi decenni – con sempre
maggiore intensità – le cose sembrano però essere almeno in parte cambiate,
perché la «politica della strada» pare aver riconquistato un ruolo. Non più
monopolizzate dalle manifestazioni di regime o occupate dalle bandiere di
partito, le piazze sono diventate per molti versi il luogo in cui aggregare
l’opposizione al «Palazzo», l’arena in cui esibire una protesta non violenta,
pacifica, lontana tanto dall’iconografa delle barricate ottocentesche, quanto
dalle manifestazioni del «secolo breve». Molti hanno riconosciuto nelle nuove folle
una richiesta di partecipazione diretta alla vita politica, amplificata dalle
potenzialità delle nuove tecnologie. E quei rapporti di forza che secondo
Engels condannavano all’obsolescenza l’azione delle folle urbane sembrerebbero dunque
essersi nuovamente rovesciati. Ma il ritorno delle piazze, che con alterne
vicende ha segnato l’ultimo trentennio, potrebbe essere un fenomeno temporaneo,
e il potere della loro protesta rischia di rivelarsi nel prossimo futuro
nuovamente molto fragile.
(...)
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