venerdì 26 marzo 2021

Il declino dei partiti in attesa di un vaccino contro l’anti-politica. Un articolo di Gianfranco Fabi



di Gianfranco Fabi*

In pochi giorni è completamente cambiato lo scenario della politica italiana. In rapida successione abbiamo assistito: alla crisi del Governo dell’alleanza Pd-5Stelle, agli affannosi e pasticciati tentativi di raccogliere nuovi voti per la vecchia maggioranza, all’incarico a Mario Draghi, alla formazione di un Governo di (quasi) unità nazionale, alla rottura dell’alleanza di centro-destra, alla spaccatura del Movimento 5Stelle con l’avvio del processo per l’insediamento di Giuseppe Conte come virtuale nuovo capo politico, alle dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Pd con la successiva rapida nomina di Enrico Letta. Il tutto in una società italiana sempre più divisa e angosciata per le ondate della pandemia e per le difficoltà con cui avanza la strategia delle vaccinazioni.

Il declino dei partiti

Un bilancio è perlomeno prematuro, ma c’è nell’analisi politica un elemento di metodo che sta diventando sempre più importante. Non basta infatti leggere queste dinamiche con i vecchi schemi, ma è almeno utile guardare almeno in controluce le trasformazioni sociali, trasformazioni sempre più accelerate per l’effetto congiunto di pandemia a rivoluzione tecnologica.

Il primo dato di fondo è allora l’evidente declino della tradizionale forma del partito, una forma di cui il Pd è stato e probabilmente resta il più fedele rappresentante.

Le due principali aggregazioni politiche, i 5S e la Lega sono infatti qualcosa di diverso dai partiti del passato, figli in parte illegittimi di quella “società liquida” a cui sono affezionati coloro che hanno letto i risvolti di copertina dei libri di Zigmunt Baumann (copyright Edmondo Berselli).

Il simulacro di democrazia diretta

Così i Cinque stelle come la Lega hanno caratteri comuni: sono un partito personale dei leader senza alcuna logica di partecipazione reale e personale degli iscritti. Il simulacro di democrazia diretta degli iscritti alla piattaforma Rousseau dimostra quanto sia velleitario simulare una condivisione delle scelte.

Lega e 5S hanno peraltro caratteri e ispirazioni chiaramente post-ideologiche. Una dimensione macroscopica per i 5S che sono passati con un’evoluzione senza scrupoli dall’alleanza con la Lega a quella con il Pd per poi accettare, pur con qualche mal di pancia, il Governo “tecnico-politico” di Mario Draghi.

E nella Lega convivono l’ansia barricadiera di Matteo Salvini con il pragmatismo europeista di Giancarlo Giorgetti nel più classico schema del partito di lotta e di Governo. Una Lega peraltro in difficoltà di fronte alle clamorose inefficienze del sistema sanitario nella regione, la Lombardia, dove è al Governo dal 1994 prima nella giunta guidata da Roberto Formigoni, poi conquistando anche la presidenza con Roberto Maroni e negli ultimi tre anni con Attilio Fontana. 

La tragedia greca del Pd

Del tutto diverso, ma non meno rilevante, è la travagliata vicenda del Partito democratico, una vicenda da tragedia greca con l’onda drammatica delle dimissioni di un segretario che annuncia pubblicamente di vergognarsi del partito che lui stesso ha guidato negli ultimi mesi.

Quello che unisce tutte queste vicende, e che spiega la convulsa evoluzione della politica italiana, è indubbiamente lo scenario economico, ma soprattutto sociale, in cui si è trovata l’Italia per fattori esterni, innanzitutto la pandemia, che si sono innestati su di una situazione di complessiva fragilità.

Non si scopre nulla di nuovo se si parla di deriva dei partiti, di dispersione sociale, di continua perdita di competitività sul fronte economico. Elementi che si sono innestati su di una dinamica più profonda che ha frammentato ed eroso il consenso politico e compromesso il rapporto tra i cittadini e lo Stato.

Gli strumenti per decifrare la complessità

Per decifrare queste tendenze possono essere utili due particolari prospettive.

La prima è quella messa in luce da Damiano Palano, docente alla Università Cattolica, nel suo ultimo libro “Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione” dove si descrive la frammentazione di una società in cui l’individualismo va di pari passo con la relativizzazione di ogni principio e di ogni valore.

La seconda è quella descritta da David Djaiz, docente a Parigi a Sciences-Po (vi ricorda qualcosa?) nel libro con un titolo mezzo inglese e mezzo francese, “Slow democratie” in cui, parlando peraltro non solo dell’Italia, si contrappone il periodo attuale a quello che viene chiamato il trentennio glorioso, gli anni del Dopoguerra in cui la crescita economica e la ricostruzione hanno fatto crescere e quasi esaltare la dimensione del ceto medio. Proprio quel ceto medio il cui sfarinamento è stata e continua ad essere una delle caratteristiche degli ultimi anni. 

La sempre più compromessa credibilità del ceto politico

Se incrociamo queste due analisi abbiamo le radici del declino dei partiti e della politica: dove la protesta ha sempre di più avuto la meglio sulla proposta (e questo spiega la fase ascendente negli anni passati della parabola di Lega e 5S) e dove la mancanza di pragmatismo e di competenza hanno compromesso la credibilità del ceto politico.

Il contrasto alla pandemia, con l’obbligo di quello che non a caso è stato chiamato “distanziamento sociale”, ha accentuato la tendenza a chiudersi in una bolla (quella descritta da Palano), a considerare individualmente come esclusivi i propri gusti, le proprie tendenze, i propri valori. E nello stesso ha colpito dal profilo economico quella grande fascia del ceto medio costituita da artigiani, commercianti, ristoratori, piccole imprese familiari (quel ceto medio indicato da Djaiz come spina dorsale della società nel secolo scorso).

Dahrendorf e il suicidio di Zingaretti

Non può sorprendere che in questo scenario i partiti si siano trovati e si trovino isolati e spaesati alla ricerca di punti di riferimento e di agganci con gli elettori sviluppando, come scriveva già dieci anni fa Ralf Dahrendorf, «una diffusa apatia, se non un vero e proprio cinismo, nei riguardi della politica». E peraltro i partiti stessi hanno contributo a far perdere credibilità: come è avvenuto quando (quasi) tutti hanno fatto dell’antipolitica la propria bandiera nel referendum sul taglio dei parlamentari.

Nel concreto si può anche ricordare come la scivolata di Zingaretti verso il proprio suicidio politico come segretario del Pd abbia una data precisa: il 29 giugno del 2020, festa di San Pietro e Paolo, il giorno in cui il Corriere della Sera pubblicava in prima pagina una sua lettera in cui annunciava una coraggiosa riforma del sistema sanitario che sarebbe stata finanziata con i fondi europei del Mes.

La speranza

A nove mesi di distanza i problemi delineati sono ancora tutti aperti. Il Pd, forza di governo, non è riuscito ad ottenere nulla di quanto in maniera estremamente chiara ed esplicita aveva proposto. Dimostrando un ruolo del tutto subalterno rispetto ai 5Stelle e del loro irresponsabile rifiuto dei fondi europei. E facendo trovare il Paese ancora impreparato di fronte alla seconda e terza ondata della pandemia tanto che le misure per contenerla hanno di nuovo avuto un prezzo molte forte per la chiusura delle scuole e il blocco delle attività commerciali, un prezzo che avrebbe potuto essere limitato con una strategia di prevenzione, tracciamento e rafforzamento della medicina territoriale.

Quello che unisce le figure di Draghi, di Letta, di Giorgetti, di Conte (quest’ultimo almeno auspicabilmente nella sua veste di guida dei 5S) a cui possiamo aggiungere il nuovo protagonismo di Silvio Berlusconi, è almeno la speranza di un ritorno della politica della concretezza rispetto al velleitarismo, del costruire rispetto ai miti della decrescita e del no-tutto.

Peccato che non sia stato ancora trovato un vaccino per evitare che la politica faccia autogol. E che aiuti a tornare protagonista una società civile che esiste ancora. Non soltanto come slogan, ma nelle mille realtà che sanno unire la competenza alla solidarietà.

Gianfranco Fabi, classe 1948, laureato in scienze politiche, indirizzo economico-internazionale, giornalista professionista dal 1974. Ha iniziato a "Il Giornale del popolo" di Lugano, poi dal ’79 per trent’anni al Sole-24 Ore (per venti come vice-direttore). Dal 1987 al 1990 vice-direttore del settimanale Mondo Economico. Ha diretto Radio 24. E poi la Rivista del Banco popolare. Ora giornalista indipendente. Insegna “Tecniche e scenari della comunicazione economica” all’Università Carlo Cattaneo (Liuc) di Castellanza. È Presidente di Argis, Associazione di ricerca per la governance dell'impresa sociale. Sposato, due figli e (grazie a loro) nove nipoti.

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