di Damiano Palano
In una delle prime analisi dedicate al regime nazionalsocialista, Franz Neumann adottò l’immagine di Behemoth per descrivere il totalitarismo. Al contrario del monolitico potere del Leviatano di Hobbes, Behemoth appariva contrassegnato da un disordine policentrico. Invece di essere organizzati all’interno di un assetto compatto, i diversi centri di potere si sovrapponevano l’uno all’altro, si moltiplicavano, si intersecavano, alimentandosi del conflitto contro i nemici interni ed esterni. Mentre, al tempo stesso, la distruzione delle strutture sociali di aggregazione produceva un processo di atomizzazione degli individui. Nel corso degli anni seguenti, molti altri studiosi si interrogarono sui caratteri dei regimi totalitari, sulla loro novità, sulla tensione “rivoluzionaria” che li spingeva a ricercare costantemente nuovi nemici. Ma il concetto – con tutta la sua capacità evocativa, e anche con i limiti legati alla difficoltà di un suo utilizzo empirico – non ha cessato di ricomparire nella discussione contemporanea, non tanto con riferimento ai regimi di Hitler e Stalin, quanto per cogliere l’emergere di un altro potere “totale”, reso possibile dalle nuove tecnologie di controllo e di comunicazione, o persino per definire la configurazione di alcune democrazie mature. Ed è proprio in questa direzione che la formula viene adottata anche da Fabio Armao in L’età dell’oikocrazia. Il nuovo totalitarismo globale dei clan (Meltemi, pp. 188, euro 16.00), un libro che avanza un’interpretazione estremamente originale – e piuttosto provocatoria – delle dinamiche politiche odierne.
Secondo il politologo dell’Università di Torino, l’ultimo trentennio è stato segnato innanzitutto dalla progressiva e inarrestabile ritirata dello Stato dalla società e dall’economia. Ma il vuoto determinatosi è stato colmato da una pletora di attori privati, incaricati di svolgere funzioni cruciali. Interpretarli come soggetti puramente economici secondo Armao è scorretto, perché si tratta di gruppi che operano con logiche anche politiche e che per questo possono essere identificati come «clan»: organizzazioni che afferiscono contemporaneamente alla società politica, all’ambito economico e alla società civile, e che sono «capaci di connettersi in una rete sempre più intricata e di integrare le dimensioni locale e globale in maniera più efficiente di qualsiasi apparato statale». L’«oikocrazia» evocata nel titolo del volume è dunque un assetto in cui dominano i clan. I motivi del successo vanno ricercati secondo Armao nella capacità del clan di ridurre l’incertezza legata ai processi di globalizzazione, costruendo relazioni di fiducia tra i membri, garantendo un’autoregolazione interna e infine accumulando risorse volte alla propria riproduzione. Rispondendo alla contrazione spazio-temporale della globalizzazione, l’oikocrazia riesce così «a mettere a sistema network sociali sempre più complessi di relazioni interpersonali ritualizzate» e, in alcuni casi, è in grado anche di generare nuove «comunità immaginate», ossia sentimenti di identificazione e di appartenenza del tutto simili a quelli che contrassegnano i gruppi nazionali. L’oikocrazia presenta per questo alcuni tratti del vecchio totalitarismo. Il «Behemoth neoliberale» contemporaneo è però una combinazione di economia ombra e di instabilità egemonica. E si nutre di contrapposizioni che assumono i tratti di una «guerra civile globale permanente».
Scomodare un concetto così impegnativo come quello di «totalitarismo» può apparire forse eccessivo. L’idea che nel disordine globale odierno riemerga una configurazione antichissima come quella del clan, capace di adattarsi come un camaleonte alle trasformazioni economiche e tecnologiche, merita però più di un approfondimento. Indubbiamente proietta un’ombra sinistra sul futuro della democrazia e sulle aspirazioni di uguaglianza e diritti che l’hanno contrassegnata. Ma forse invita anche rileggere la storia dell’ultimo secolo, relativizzando le immagini di un ordine monolitico dominato e controllato dallo Stato. Perché, a dispetto delle rappresentazioni dottrinarie di uno Stato in grado di controllare e plasmare la società, anche allora i clan non erano scomparsi. E dietro la sagoma sinistra del Leviatano di Hobbes, si poteva forse già riconoscere il vorticoso movimento di quel Behemoth che oggi – secondo la tesi di Armao – torna in superficie, estendendo a livello globale il proprio potere.
Damiano Palano
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