di Guido Vitiello
Questo testo è apparso sul quotidiano "Il Foglio"
il 26 settembre 2020
Nella mia bolla ultimamente si parla molto di bolle.
Anzi, il bello della mia bolla rispetto ad altre bolle è che riflette
senza tregua sulla sua natura di bolla, salvo poi piangere sul sapone versato.
Come puttini in un quadro di vanitas, sospingiamo all’insù le nostre fragili
bolle speculative, lanciando congetture sul mondo fuori dalla bolla e sul
destino di una società divisa per bolle.
Ho appena letto “Bubble Democracy. La fine del pubblico e la
nuova polarizzazione” (Scholé) di Damiano Palano, teorico della politica e
buon lettore di fantascienza (cosa indispensabile, di questi tempi) e mi sono
fatto due idee forse ingenue sul dibattito di questi giorni. La prima è che
l’invocazione di moderati e moderazione, tornata in auge dopo le regionali,
rischia di essere una pia illusione.
La “force tranquille” si sposava perfettamente allo
stile della televisione generalista, ma la logica delle campagne
elettorali sui social network invita, al contrario, a portare all’effervescenza
bolle di elettori apatici dando a ciascuna il messaggio più radicale possibile.
E il caratteraccio del medium ha la meglio sul temperamento del candidato,
foss’anche la quintessenza della mitezza.
La seconda idea, legata alla prima, è che la
proposta del maggioritario, rilanciata dopo il referendum, rischierebbe
nelle condizioni attuali di creare non già una polarizzazione ancorata al
centro, ma una corsa agli estremi illiberali, un’escalation di orbanismi e
madurismi. Ma questa è una riflessione che molti della mia bolla, formatisi
negli anni Novanta, non osano portare in fondo. Per timore di vederla
scoppiare, la bolla.
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