di Damiano Palano
L’irruzione sulla scena globale del Covid-19 ha incrinato la fede dell’Occidente in un progresso del tutto lineare e ha scardinato la pretesa delle democrazie avanzate di essere al riparo dai grandi traumi e dalle malattie che segnarono dolorosamente la vita delle civiltà del passato. Mentre l’incubo della pandemia si materializzava davanti ai nostri occhi, raggiungendo pressoché ogni angolo del globo, le ombre hanno così ricominciato ad addensarsi anche sulle democrazie liberali. L’accelerazione che sta investendo molti processi e le ricadute che si avranno sulle società occidentali sono infatti destinate a mettere a dura prova anche i sistemi politici occidentali. Al momento possono essere naturalmente formulate solo ipotesi molto generiche su ciò che potrebbe accadere nel prossimo futuro. La depressione economica segnerà quasi certamente un ulteriore aggravamento della «crisi fiscale» dello Stato, che in alcuni casi potrebbe anche diventare drammatica e offrire così spazi consistenti al riemergere della protesta fiscale. In secondo luogo, la contrazione delle economie occidentali potrebbe contribuire a indebolire ulteriore la fiducia riposta in leader e partiti. Inoltre, le conseguenze del Covid-19 rischiano di accelerare il ‘declino relativo’ dell’Occidente (sotto il profilo economico, politico e culturale), o la stessa la tendenza allo spostamento verso Est del baricentro dell’economia globale. E tutto questo è in grado di alimentare il cultural backlash, accentuando la sensazione di insicurezza e deprivazione soprattutto in alcuni strati sociali, di spostare quote di elettorato verso posizioni più radicali (e verso nuove formazioni politiche), di polarizzare lo scontro politico, o di aggravare il «deconsolidamento» delle democrazie mature.
Nel mondo che seguirà la pandemia, un ruolo decisivo
dipenderà certamente dalla capacità degli attori in campo di fornire risposte e
di impedire che si inneschi una «crisi generale». E anche per questo formulare
oggi previsioni deterministiche sul prossimo futuro sarebbe un azzardo. Ma
probabilmente il futuro delle democrazie si giocherà – in misura non secondaria
– anche sulla nostra capacità di uscire dalla «fine della Storia». Dopo la Guerra
fredda, l’Occidente non ha infatti mai cessato di vivere alla «fine della
Storia». Ed è stato così in grado di concepire il futuro solo nei termini di
una dilatazione del presente o di un’apocalisse ambientale, sociale e politica.
Per società cresciute nella convinzione di vivere in un mondo ‘post-storico’, il
pericolo più insidioso si annida allora proprio nell’incapacità di immaginare
il futuro in termini diversi da quelli speculari della dilatazione del presente
e di un declino catastrofico. E una delle sfide più importanti che ci attende
consiste allora nel pensare il futuro – e soprattutto le crisi che ci attendono
– abbandonando le visioni più ingenuamente ottimistiche che hanno nutrito il
nostro immaginario nell’ultimo trentennio. Senza al tempo stesso cedere all’incubo
del declino e alla retorica della catastrofe.
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