di Damiano Palano
Alla fine degli anni
Venti, e senza nessun entusiasmo, Carl Schmitt previde che in un futuro lontano
ogni elettore avrebbe potuto esprimere il proprio orientamento sulle questioni
politiche senza lasciare la propria abitazione, mediante un apparecchio
tecnologico, e che tutte le opinioni sarebbero state «automaticamente
registrate da una centrale». Quell’«apparecchio» è oggi divenuto una realtà.
Ben pochi Stati hanno iniziato però a sperimentare meccanismi
di i-democracy (una democrazia via internet), anche perché simili strumenti non
sono ancora in grado di assicurare la piena segretezza del voto. Ciò nondimeno,
le nuove tecnologie indeboliscono una delle più solide obiezioni indirizzate
alla democrazia diretta, relativa alla difficoltà di riunire tutti i cittadini
in un unico luogo, per consentire loro di esprimersi ‘direttamente’.
Ma la
possibilità ‘tecnica’ di realizzare consultazioni via internet non supera
comunque altre grandi obiezioni, che in larga parte sono riformulate e aggiornate
da Francesco Pallante in Contro la democrazia diretta (Einaudi, pp. 132,
euro 12.00), una severa requisitoria contro le illusioni di tutte le
proposte volte a superare la rappresentanza politica. La
critica viene condotta a più livelli e non si limita a considerare i limiti
degli strumenti che di solito vengono ritenuti espressione della democrazia
diretta (il referendum, l’iniziativa legislativa popolare, il recall, le
elezioni primarie).Il discorso di Pallante punta infatti soprattutto a indagare
le radici ‘culturali’ del discredito che negli ultimi decenni ha colpito la
democrazia rappresentativa: radici che affondano soprattutto in un
individualismo esasperato, alla base tanto della critica ai partiti quanto del mito
della «disintermediazione» e dunque dello smantellamento dei corpi intermedi.
In una concezione in cui diventa politicamente sovrano l’individuo, con le sue
preferenze e le sue scelte, i corpi intermedi non possono che diventare
superflui, così come quella pluralità di «formazioni» in cui – secondo il
dettato costituzionale – si articola la vita della società. Difendendo la
concezione classica della democrazia rappresentativa, osserva però Pallante
«l’affermazione della sovranità individuale conduce alla disgregazione della
collettività in una moltitudine di soggetti isolati e abbandonati a se stessi».
Un simile individuo atomizzato non può avere alcun reale peso democratico,
perché, come scriveva Hans Kelsen, la democrazia può esistere «soltanto se gli
individui si raggruppano secondo le loro affinità politiche, allo scopo di
indirizzare la volontà generale verso i loro fini politici». Anche se nei
prossimi anni – in un mondo affollato di smart workers e videoconferenze – molte
voci torneranno a richiedere che i cittadini possano riunirsi in un’agorà
virtuale, la soluzione del ‘direttismo’ è destinata dunque a rimanere solo
un’illusione. E per Pallante resterà allora valido anche il vecchio ammonimento
di Norberto Bobbio, secondo cui «nulla uccide la democrazia più che l’eccesso
di democrazia».
Damiano Palano
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