di Damiano Palano
Nel 1970, mentre preparava l’edizione completa degli scritti di Palmiro
Togliatti, Ernesto Ragionieri si imbatté in un testo custodito negli archivi di
Mosca, di cui comprese immediatamente la rilevanza. Si trattava di alcune
lezioni che il leader del Pci aveva tenuto nel 1935, in preparazione del VII Congresso
dell’Internazionale comunista, ai quadri italiani emigrati in Urss. Il tema delle
lezioni era rappresentato dal fascismo, di cui Togliatti proponeva una lettura
su alcuni punti piuttosto innovativa. L’interpretazione ‘ufficiale’ fornita da Stalin
raffigurava in effetti il fascismo come una «dittatura terrorista aperta»,
emanazione degli elementi «più reazionari, più sciovinisti, più imperialisti»
del capitale finanziario. Benché Togliatti non contestasse esplicitamente
quella formula, la sua analisi si muoveva ben più in profondità, puntando
soprattutto a mostrare la capacità del regime di organizzare e mobilitare le
masse. Anche per questo, invitava a riconoscere una progressiva trasformazione
nella fisionomia del potere fascista, che iniziò ad assumere un volto
«totalitario» solo dopo il 1925. Ma soprattutto in seguito allo scoppio della
crisi economica mondiale, per evitare il restringimento delle proprie basi, il
regime cominciò a perseguire l’obiettivo della «politica di massa», sforzandosi
cioè di «portare le masse nelle sue organizzazioni, per tenerle legate alla
dittatura». In questo senso Togliatti non si limitava a cogliere la novità di
un «totalitarismo» che puntava a organizzare stabilmente le masse per
mobilitarle dall’alto. Sottolineava anche la capacità che il regime aveva di
penetrare nella società italiana – e tra gli stessi lavoratori – colmando, con
le proprie organizzazioni, un vuoto. Si occupava naturalmente
dei sindacati e del corporativismo, anche se non dava un particolare rilievo a
questo aspetto dell’organizzazione. Molto più rilevante ai suoi occhi era
invece l’istituzione del dopolavoro, che costituiva una reale innovazione, dal
momento che, come osservava il leader del Pci, «un’organizzazione centralizzata
per soddisfare i bisogni educativi, culturali, sportivi delle masse non
esisteva». E, consapevole dell’importanza di quella dimensione, Togliatti non
avrebbe mancato di recepirla, quando alla fine della guerra ridisegnò il
profilo organizzativo del Pci, trasformandolo in un partito di massa ben
lontano dalla fisonomia originaria del partito leninista.
Commentando la lettura di Togliatti, Ragionieri coniò la formula
«regime reazionario di massa», che non compariva nel testo delle lezioni ma che
coglieva comunque il senso del ragionamento. Senza dubbio l’elemento più
innovativo di quelle lezioni consisteva proprio nel riconoscimento della
dimensione di massa che il «totalitarismo» ambiva a conquistare. Ma, riletti a
molti anni distanza, quegli appunti rappresentano anche un invito a investigare
più a fondo nella ‘storia sociale’ del fascismo, per ritrovarvi alcune tracce
di quel rapporto tra istituzioni e masse, tra organizzazioni politiche e
società, che la «Repubblica dei partiti» si ritrovò a ereditare.
Damiano Palano
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