«Il suddito ideale
del regime totalitario», scrisse Hannah Arendt, è «l’individuo per il quale la
distinzione tra realtà e finzione (cioè la realtà dell’esperienza), fra vero e
falso (cioè i criteri di pensiero) non esiste più». Queste parole sono tornate spesso
a riaffiorare nella discussione degli ultimi anni sulla «postverità», ossia sulla
tendenza a considerare le proprie convinzioni personali più importanti dei
fatti oggettivi. E le spiegazioni sui motivi che rendono oggi i cittadini delle
democrazie occidentali all’apparenza sempre meno capaci di distinguere tra
realtà e finzione, tra vero e falso, sono andate in direzioni molto diverse. La
pista che indica Christian Salmon in Fake. Come la politica ha divorato se
stessa (Laterza, pp. 203, euro 19.00) conduce direttamente alle tecniche
della comunicazione politica, e in particolare all’esaurimento della capacità
evocativa dello storytelling, protagonista della scena per almeno un
quindicennio. Nel 2007, con il suo libro Storytelling, l’intellettuale
francese aveva infatti invitato a riconoscere come il successo dei leader
politici si giocasse sempre più sulla loro capacità di raccontare delle storie.
Con l’ascesa di Bill Clinton, in particolare, il compito degli spin doctors
non era più quello di ‘aggiustare’ i messaggi dei leader politici, ma era
diventato costruire una narrazione, una storia individuale capace anche di
fornire una rappresentazione della società e delle possibilità di ciascuno.
L’apice di quella stagione fu raggiunto con la campagna di Barack Obama, ma al
successo dello storytelling seguì, secondo Salmon, la disillusione. E
dalla «repubblica dello spin» si passò così all’«impero del clash»,
ossia a una logica che non punta alla costruzione di un ordine narrativo coerente
– all’interno del quale possano collocarsi le singole decisioni politiche –
bensì solo alla produzione costante di provocazioni. Una logica la cui
manifestazione più eclatante è naturalmente la compulsiva diffusione di tweet da
parte di Donald Trump. Le cause sono comunque profonde e vanno rintracciate per
Salmon nel logoramento della credibilità, oltre che nell’impotenza della
politica. Con la crisi del 2008, per l’intellettuale francese, non esplose infatti
soltanto la bolla finanziaria, ma anche quella dello storytelling,
proprio perché l’impotenza della politica aggravò il «calo tendenziale del
tasso di fiducia». Una volta smarrito il loro potere evocativo, le storie
scomparvero dalla scena, spodestate dalla logica del clash, secondo la
quale, per conquistare la visibilità, è necessaria una costante una
trasgressione.
L’effetto della logica
del clash – che coglie senz’altro molto del cambiamento degli ultimi
anni – non può che essere devastante per la credibilità della politica e per le
stesse condizioni della convivenza comune. Ma, anche se il quadro che dipinge
Salmon non concede molto all’ottimismo, rimangono spazi per altre logiche. Chiunque
intenda recuperare la credibilità perduta non potrà in ogni caso evitare di partire
realisticamente dal presente. E soprattutto non potrà fare a meno di
riconoscere la gravità del «calo tendenziale del tasso di fiducia».
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