di
Damiano Palano
Questa nota è apparsa sul quotidiano "Avvenire" il 16 novembre 2019.
Può
esistere una democrazia senza libertà? Ed è lecito qualificare come
«democratico» un regime politico che non rispetta i diritti fondamentali
sanciti dalla tradizione liberale? Queste domande non sono certo nuove. Ma
negli ultimi anni sono tornate ad affiorare nella discussione politologica,
oltre che nella stessa polemica politica. Molti regimi autoritari hanno infatti
iniziato a ricorrere a elezioni, nonostante tali consultazioni non siano
competitive e benché manchino le garanzie di effettivo pluralismo. Dinanzi a
questi regimi «ibridi», che combinano procedure formalmente democratiche con
elementi propri dei regimi autoritari, alcuni analisti hanno adottato la
formula «democrazia illiberale». Ma si tratta di una categoria problematica, se
non altro perché riconosce come democratici regimi che limitano in misura
notevole le libertà dei cittadini. È anche per questo che il nuovo numero della
rivista «Paradoxa» (3/2019), dedicato a Democrazie
Fake, invita a diffidare di tutte le aggettivazioni che ridimensionano la
connessione tra democrazia e liberalismo. Gli articoli ospitati nel fascicolo (di
Pasquino, Tuccari, Raniolo, Regalia, Viroli, Gherardi, Taffoni, Diodato) fanno innanzitutto
il punto sugli stress cui oggi sono sottoposte le democrazie e sul successo
delle tendenze illiberali. Ma nel complesso sostengono che il limite
discriminante tra democrazia e non democrazia rimane ancora quello fissato nel
secolo scorso da studiosi come Joseph Schumpeter, Robert Dahl e Giovanni
Sartori. In sostanza – lo ribadisce soprattutto Pasquino – la democrazia esiste
solo laddove le cariche politiche sono assegnate (direttamente o
indirettamente) mediante elezioni competitive. Ciò comporta che le elezioni
debbano essere anche libere e corrette, ossia che non vi devono essere intimidazioni
e manipolazioni. E implica che siano garantite le libertà di espressione e di
associazione, oltre che la pluralità delle fonti di informazione.
Una simile posizione è teoricamente solidissima
e aiuta a fare chiarezza rispetto a concetti maldestri. Non dovremmo però trascurare
il fatto che la nostra immagine della democrazia – intesa come democrazia
competitiva e liberale – è un’invenzione recente, un prodotto della storia
intellettuale del Novecento, dei grandi traumi del «secolo breve», della guerra
fredda. Ed è soprattutto il risultato di una ‘reinvenzione’ in virtù della
quale molti elementi dalle origini piuttosto disparate sono stati ‘cuciti’
insieme ‘come se’ fossero davvero l’eredità di una storia coerente che
dall’Atene di Pericle giunge sino a noi. Osservando il passato, non possiamo per
esempio trascurare il fatto che l’aspirazione alla democrazia ha spesso assunto
un volto illiberale e talvolta anche ‘totalitario’, o che nella stessa storia
delle più antiche democrazie liberali si sono a lungo nascosti elementi
patentemente illiberali. Ma non possiamo neppure dimenticare che il catalogo
dei diritti liberali si è nel corso degli ultimi due secoli notevolmente
modificato e che, soprattutto, è cambiato il profilo di coloro che sono
considerati legittimi detentori di quei diritti. Con una prospettiva storica
più ampia, dobbiamo dunque considerare un po’ più problematicamente la
relazione tra democrazia e liberalismo. E non possiamo neppure escludere che
nel «mondo post-americano» (o comunque in un mondo in cui l’Occidente avrà
perso la propria centralità) emergeranno differenti concezioni dei diritti e
delle libertà «fondamentali». O che regimi democratici – dotati di elezioni
competitive, pluralismo politico, diritti di espressione e associazione – potranno
contrapporsi tra loro anche per le differenti concezioni dei diritti
«liberali». E forse alcune delle tendenze «illiberali» contemporanee potrebbero
prefigurare già qualcosa del genere.
Naturalmente tutto ciò non sminuisce
l’importanza della democrazia liberale, delle sue procedure, delle sue
garanzie. Piuttosto, deve ricordarci che la democrazia liberale è un’invenzione
umana, e che proprio per questo rimane un assetto tutt’altro che granitico. In
ogni caso, rimarcare i caratteri distintivi della democrazia liberale non può
esimerci dalla necessità di comprendere le trasformazioni politiche (del
passato ma anche del presente). E non ci esenta dal dovere intellettuale di
riconoscere i mutamenti nelle aspettative e nelle aspirazioni che la parola
«democrazia», dopo duemilacinquecento anni, continua ad alimentare.
Damiano Palano
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