di Damiano Palano
Questa recensione al libro di Michele Sorice, Partecipazione
democratica. Teorie e problemi, ospitato nella nuova collana «Lessico
democratico» (Mondadori Università, pp. 159, euro 13.00), è apparsa sul quotidiana "Avvenire" il 7 luglio 2019.
«La libertà è partecipazione», cantava Giorgio Gaber negli
anni Settanta, in una fase in cui la politica sembrava onnipresente. Da allora
le cose sono notevolmente cambiate e la partecipazione dei cittadini alla vita
pubblica ha cambiato forma, tanto da diventare talvolta invisibile. Quasi senza
eccezioni il numero degli iscritti ai partiti è bruscamente calato in tutte le
democrazie occidentali e anche il tasso di affluenza alle consultazioni
elettorali è sensibilmente diminuito (sebbene le differenze tra i vari contesti
nazionali siano notevoli). Al tempo stesso, è cresciuto però un impegno meno strutturato,
‘intermittente’, molto spesso inafferrabile da parte degli stessi soggetti
organizzati. E proprio per cogliere i mutamenti intervenuti negli ultimi
decenni le scienze sociali hanno dovuto aggiornare la loro cassetta degli
attrezzi.
Una guida per orientarsi in queste trasformazioni è rappresentata dal
volume di Michele Sorice, Partecipazione
democratica. Teorie e problemi, ospitato nella nuova collana «Lessico
democratico» di Mondadori Università (pp. 159, euro 13.00). Per un verso, la
partecipazione è stata rinnovata ‘dal basso’, con la costruzione di reti
organizzative che si sono poste l’obiettivo di sviluppare forme inedite di
impegno civico. Per un altro, sono state invece le stesse istituzioni a promuovere,
‘dall’alto’, il coinvolgimento dei cittadini, sperimentando per esempio alcuni
tentativi di e-government,
consultazioni pubbliche, forme di dibattito pubblico e strumenti di democrazia
elettronica, a supporto di processi deliberativi. Il principale esempio in
questo senso è rappresentato dal débat
public francese, che consiste in un processo istituzionalizzato di
consultazione e che profila anche un nuovo canale di partecipazione. Le
sperimentazioni si sono indirizzate inoltre verso una più radicale «innovazione
democratica», di cui Sorice individua cinque principali aree: la creazione di
«mini pubblici», che sono assemblee composte da un campione rappresentativo di
una determinata popolazione; i bilanci partecipativi, sperimentati a livello
locale; i referendum e le iniziative dei cittadini, che introducono meccanismi
di democrazia diretta a fianco delle istituzioni rappresentative; la governance
collaborativa, in cui la negoziazione prevede il coinvolgimento di attori di
profilo differenziato; infine, la partecipazione digitale, che può
concretizzarsi in piattaforme di partecipazione democratica. Ed è ovviamente
proprio questo uno dei punti più delicati. Il grande entusiasmo alimentato
dalla democrazia elettronica si è infatti scontrato con una serie di ostacoli.
Non solo perché la tecnologia non è ‘neutra’. Ma anche perché, come sottolinea
Sorice, il rischio è che l’utilizzo di questi strumenti conduca alla
standardizzazione delle stesse pratiche partecipative. E questo significa dunque
che le nuove tecnologie possono contribuire davvero a rafforzare le dinamiche
democratiche solo se sono inserite all’interno di strutturate procedure
partecipative e deliberative.
Damiano Palano
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