di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Luigi Di Gregorio, Demopatìa. Sintomi, diagnosi e terapie del malessere democratico (Rubbettino, pp. 314, euro 18.00), è apparsa sul quotidiano "Avvenire".
Mentre «la falsità spicca il
volo, la verità la insegue zoppicando», diceva Jonathan Swift qualche secolo
fa. E dal momento che gli attori politici – come ci ricordano i classici – hanno
sempre fatto più meno ricorso alle menzogne, potremmo ridimensionare l’enfasi
che molti commentatori hanno riservato alle fake news. O, semmai, potremmo limitarci a
osservare che la «post-verità» in fondo è sempre esistita, anche se la si
chiamava in un altro modo. Relativizzando la portata delle fake news, rischieremmo però di perdere di
vista una serie di mutamenti che rendono le «bufale» di oggi molto più
insidiose rispetto a quelle del passato. La novità non sta infatti nell’esistenza
di una serie di bias cognitivi,
di meccanismi psicologici che ci inducono sempre a ‘distorcere’ la realtà, bensì
nel contesto comunicativo in cui attiviamo tali meccanismi. In altre parole,
ognuno di noi tende a considerare coloro che appartengono al proprio gruppo migliori
rispetto ai membri di altri gruppi, a prendere per buone le prove che
dimostrano le proprie convinzioni, o a sovrastimare l’importanza di ciò che
impariamo in prima persona. Se non attivassimo in modo automatico questi
meccanismi, probabilmente non riusciremmo a reagire in modo adeguato alle sfide
ambientali, e dunque si tratta di risorse estremamente preziose. Ma in una
società individualizzata e narcisista come quella contemporanea, e in un
contesto comunicativo come quello in cui ci troviamo costantemente immersi, le
cose cambiano. Perché si crea un corto circuito di cui non possiamo
sottovalutare le implicazioni. Nel suo Demopatìa. Sintomi, diagnosi e terapie del malessere democratico
(Rubbettino, pp. 314, euro 18.00), Luigi Di Gregorio fornisce un quadro
completo delle tendenze che dovrebbero preoccuparci. E rovescia la logica di
molte letture dedicate negli ultimi anni alla «crisi» della democrazia. Se
numerosi interpreti attribuiscono le principali responsabilità alla
globalizzazione, a élite sempre più autoreferenziali, o all’ascesa della
tecnocrazia, Di Gregorio imbocca un’altra strada. Perché il vero responsabile
della crisi ai suoi occhi è proprio il «popolo»: quel demos inafferrabile che la democrazia
colloca alla base del proprio edificio istituzionale, ma che si è trasformato
in un magmatico agglomerato di inguaribili narcisisti. La democrazia è malata,
secondo il politologo, proprio perché è malato il demos. E la sua malattia sarebbe una
conseguenza delle trasformazioni che ci hanno condotto alla postmodernità:
«individualizzazione, perdita di senso sociale, fine delle autorità cognitive,
narcisismo, nuove percezioni e concezioni di tempo e spazio, trionfo della
sindrome consumistica e della logica totalizzante dell’usa e getta, fine dei
luoghi pubblici relazionali e proliferazione dei non luoghi». Il protagonista
delle nostre democrazie è così un homo
ludens, un individuo volubile, un consumatore compulsivo
che aspira a liberarsi da ogni vincolo, che vive la vita come un gioco. E allora
il popolo si polverizza in una serie di individualità senza connessioni.
Dato che il quadro è tanto fosco,
è comprensibile che Di Gregorio tenda a diffidare delle terapie che vengono
spesso indicate come possibili soluzioni alla «demopatìa», dal ricorso a
strumenti di democrazia diretta al soccorso della tecnocrazia, dal ritorno alle
sovranità nazionali, all’utilizzo del sorteggio per designare i governanti. Ma
non rinuncia a indicare una strada. Più che limitarsi a contrapporre i dati di
realtà alle fake news, e più
che confidare nella razionalità degli elettori, per Di Gregorio dovremmo invece
lavorare sugli immaginari e sulla costruzione di contro-narrazioni in grado di
bilanciare le narrazioni che mettono a rischio le democrazie liberali. In altre
parole, non sarebbe più sufficiente appellarsi ai dati di realtà, sperando che
la loro forza riesca a ‘smontare’ le fake news, ma si dovrebbe raccontare quella realtà in modo
da renderla più credibile del verosimile. E per quanto sia una strada
tutt’altro che priva di insidie, la risposta che le democrazie occidentali
daranno ai grandi cambiamenti dei prossimi anni dipenderà in gran parte anche dal
modo in cui sapremo raccontarli.
Damiano Palano
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