di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Carlo Muzzi, Euroscettici. Quali sono e cosa vogliono i movimenti contrari all’Unione Europea (Le Monnier, pp. 167, euro 14.00), è apparsa sul quotidiano "Avvenire".
Molti studiosi ritengono che il populismo sia comparso nel Vecchio continente alla metà degli anni Cinquanta, quando in Francia il cartolaio Pierre Poujade fondò l’Union et fraternité française (Uff). Come i suoi successori, il «puojadismo» si fece portavoce del popolo contro le élite, rappresentate dalle oligarchie economiche, dagli intellettuali, dalla classe politica, dal personale burocratico. Il movimento si presentò alle elezioni politiche del 1956, conquistando una cinquantina di seggi all’Assemblea nazionale, ma non riuscì a sopravvivere a una serie di scissioni e alla crisi istituzionale che avrebbe condotto alla nascita della Quinta Repubblica. Benché allora il processo di integrazione europea fosse solo agli inizi, tra i bersagli della Uff non mancava però il Mercato Comune Europeo. E per questo il singolare partito di Poujade – che peraltro elesse come capogruppo all’Assemblea un giovanissimo Jean-Marie Le Pen – può essere considerato come una sorta di progenitore dei movimenti che, nei decenni seguenti, avrebbero fatto dell’«eurocrazia» l’obiettivo privilegiato dei loro strali polemici.
Un quadro completo di questa galassia è offerto da Carlo Muzzi nel suo Euroscettici. Quali sono e cosa vogliono i movimenti contrari all’Unione Europea (Le Monnier, pp. 167, euro 14.00). Il libro ricostruisce innanzitutto la storia delle formazioni euroscettiche, ma soprattutto riporta le voci dei suoi protagonisti, grazie a una serie di interviste che chiariscono quali sono le loro principali coordinate dottrinarie e le loro posizioni sui temi chiave. Naturalmente in questa sorta di guida all’euroscetticismo non manca il Front national francese (di recente tramutatosi in Rassemblement national), per molti versi il modello cui hanno guardato parecchie formazioni più recenti. Ma sono presenti anche il Partito della Libertà olandese, Interesse fiammingo, i Democratici svedesi, i Veri finlandesi, gli ungheresi di Jobbik e la formazione pro-Brexit di Nigel Farage. A rendere ulteriormente complicato ricondurre l’«euroscetticismo» all’interno delle più consuete categorie politiche, sono infine anche le voci di Podemos e di Syriza, le cui posizioni nei confronti dell’Ue si discostano su molti punti da quelle degli altri critici di Bruxelles. Ma non è solo la divisione tra destra e sinistra a frammentare questo campo. A ben guardare, infatti, le responsabilità imputate all’Europa sono davvero eterogenee, così come vanno in direzioni ben differenti le proposte di riforma (o di superamento) delle istituzioni comunitarie. A lacerare il fronte euroscettico è per esempio la collocazione geopolitica (e in particolare la relazione con la Russia), mentre la linea di frattura tra Sud e Nord è altrettanto pronunciata su molte questioni decisive. E così, se è quasi scontato rilevare le numerose divisioni che attraversano il campo europeista, è piuttosto evidente che i critici dell’Ue sono tenuti insieme – più che da interessi condivisi o da prospettive realmente unitarie – dalla comune avversione un’Europa in gran parte immaginaria.
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