di Damiano Palano
Questa nota è apparsa sul quotidiano "Avvenire"
Alla metà degli anni Sessanta, Richard Hofstadter, autore di alcuni dei più influenti libri sulla storia degli Stati Uniti, si soffermò su un aspetto inquietante ma ricorrente della cultura politica americana. Fin dalle origini, lo «stile paranoico» aveva infatti occupato un posto importante nell’immaginario delle ex colonie britanniche. L’ossessione per cospirazioni ordite da nemici insidiosi e invisibili, animati dall’obiettivo di impossessarsi delle istituzioni democratiche spesso per conto di potenze straniere, aveva infatti alimentato pressoché costantemente la retorica delle forze politiche. Lo «stile paranoico» si era storicamente diretto verso obiettivi differenti, ma l’antisemitismo e il nativismo erano ingredienti quasi immancabili di un repertorio capace di accendere le passioni collettive. E per quanto fosse stata coltivata soprattutto da formazioni marginali, l’ossessione cospirativa era talvolta esplosa violentemente.
Secondo
alcuni critici, la ricostruzione proposta da Hofstadter finiva col distorcere
alcune sequenze della storia americana, perché ne schiacciava la complessità
dentro una rappresentazione per molti versi caricaturale. Ciò nonostante, la
sua lettura coglieva un elemento importante. E d’altronde anche oggi lo «stile
paranoico» è ben presente sulla scena politica, e non solo su quella degli
Stati Uniti. Ce lo ricorda per esempio il volume, curato da Paolo Ceri e
Alessandra Lorini, La costruzione del
nemico. Istigazione all’odio in Occidente (Rosenberg & Sellier, p. 166,
euro 15.00), che, adottando varie prospettive, si concentra su alcune sequenze
storiche emblematiche, oltre che sul contesto emotivo delle democrazie
contemporanee. I punti di partenza sono infatti il classico processo ai Dieci
di Hollywood, nell’America maccartista, e i processi di Praga, emblematici
della logica dello stalinismo. Ma l’analisi considera anche come la costruzione
di nemici fittizi sia un espediente cui ricorrono quasi costantemente i
movimenti populisti di oggi. Negli Stati Uniti, i gruppi suprematisti hanno per
esempio recuperato la memoria deformata della Guerra civile americana per
dipingere una lunga storia di cospirazioni ordite ai danni del «popolo». E
naturalmente i social media si sono rivelati un canale formidabile per la
proliferazione delle falsificazioni.
Benché di solito si consideri questa strategia come un elemento caratteristico dei regimi totalitari, gli ultimi anni ci hanno confermato che alla costruzione del nemico si è fatto ricorso anche nelle democrazie liberali. D’altronde anche l’immaginario cospirativo ha ambiguamente contribuito, negli ultimi due secoli, all’«invenzione» della democrazia moderna. Quasi inevitabilmente, la costruzione simbolica del «popolo» ha richiesto infatti che venisse dato un volto a quei ‘nemici’ che si opponevano a una ‘reale’ democrazia. Ma se in passato la «stile paranoico» affiorava solo in alcune congiunture critiche, oggi le cose sono cambiate. La costruzione di nemici fittizi sembra infatti essere diventata una strategia con cui sopperire a fragili identità collettive. Ma con cui si rischia di rendere sempre più debole il tessuto su cui reggono le istituzioni democratiche.
Damiano Palano
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