di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Giuliano da Empoli, Gli ingegneri del caso. Teoria e tecnica dell’Internazionale populista (Marsilio, pp. 158, euro 17.00), è apparsa sul quotidiano "Avvenire".
Calcando il sentiero delle grandi distopie novecentesche, uno dei più noti episodi della serie tv Black mirror racconta l’evoluzione del Regno Unito verso un regime dispotico. Il leader autoritario che immagina è però davvero lontano dal Big Brother orwelliano, così come le sequenze che conducono alla deriva autoritaria sono ben diverse da quelle che sancirono l’ascesa dei regimi totalitari del XX secolo. Il punto di partenza è infatti la «politica pop» a cui siamo ormai pienamente assuefatti, una politica in cui ‘alto’ e ‘basso’ si intrecciano costantemente e in cui la logica dello spettacolo è ormai in larga parte indistinguibile da quella dell’informazione. Inizialmente, l’orsetto animato Waldo è solo una comparsa in una trasmissione televisiva in cui fa da spalla al conduttore e in cui prende di mira gli ospiti di turno con un umorismo grossolano. Ma a un certo punto, quando Waldo inizia a ridicolizzare i membri della classe politica, la sua popolarità cresce, perché il pubblico ama quel disegno animato che non la manda a dire ai potenti. In breve, l’orsetto diventa «il portavoce delle classi disagiate», si candida alle elezioni e riesce ad assumere la guida di un movimento violento e inarrestabile. Tanto che l’episodio si conclude con le immagini di pattuglie di miliziani che, vestiti con la divisa turchese di Waldo, presidiano le strade per garantire l’ordine.
Probabilmente
la distopia di Waldo non è il prodotto più raffinato realizzato dagli
sceneggiatori di Black mirror. Benché
in forma caricaturale, quell’episodio – mandato in onda nel 2013 – aveva però colto ciò che
stava avvenendo nelle democrazie occidentali. Qualche anno dopo, un miliardario
newyorkese privo di qualsiasi esperienza politica ma noto al grande pubblico
come conduttore di un reality show venne eletto presidente degli Stati Uniti. Nel
2019 gli ucraini hanno scelto come presidente un giovane attore che aveva
interpretato il ruolo del capo di Stato in una fiction popolare e che si era
candidato alla massima carica del Paese. Ma nessuna democrazia in questi anni è
stata davvero immune all’onda travolgente di nuovi outsider della politica. Nel
suo libro Gli ingegneri del caos. Teoria
e tecnica dell’Internazionale populista (Marsilio, pp. 158, euro 17.00),
Giuliano da Empoli cerca di capire cosa si nasconde dietro questo successo. Non
si tratta a suo avviso solo della conseguenza della crisi economica o
dell’impatto prodotto dalle crisi migratorie. Il punto principale consiste
piuttosto nel cambiamento radicale intervenuto nello scenario comunicativo, che
ci ha proiettati nell’era della «politica quantistica». Ciò che accomuna gli
strateghi della comunicazione delle nuove forze anti-establishment è infatti
soprattutto la reinvenzione della propaganda ai tempi dei social network. E la
novità non è tanto la disintermediazione, quanto la frammentazione comunicativa
che essa comporta. Per i nuovi Stranamore della politica, scrive infatti da
Empoli, «il gioco non consiste più nell’unire le persone intorno a un minimo
comun denominatore, bensì nell’infiammare le passioni del maggior numero di
gruppuscoli per sommarli tra loro, anche a loro insaputa». In altre parole, la
‘personalizzazione’ dei messaggi consente di costruire campagne sempre più
mirate verso minuscole nicchie e di sfruttare le onde emotive delle tribù
virtuali più attive sul web. L’obiettivo dunque non è costruire visioni
generali della società, ma rivolgersi a piccoli segmenti di un pubblico in
frammenti, alimentandone rabbie, paure, inquietudini e sfruttandone le pulsioni
narcisiste. La conseguenza è così una competizione sempre più centrifuga. E in
questo contesto, a diventare preziosi, più ancora che gli esperti di marketing,
sono i fisici quantistici, in grado di costruire modelli che tengono conto
dell’enorme mole di dati relativi agli orientamenti degli elettori.
Non c’è dubbio che il quadro delineato dagli Ingegneri del caos colga una serie di tendenze cruciali. Ma rimane ancora da capire se i nuovi strumenti possano essere utilizzati solo (o principalmente) dagli outsider, fin dove si possa spingere la manipolazione degli apprendisti stregoni della «politica quantistica», e soprattutto se gli effetti della ‘frammentazione’ del pubblico non possano essere compensati dalla conquista di una nuova arena di discussione. Perché forse non è così scontato che ad attenderci, nel nostro futuro, ci sia effettivamente una sorta di Waldo.
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