di Luigi Iannone
Questa recensione al volume "La politica pura. Il laboratorio di Gianfranco Miglio" (Vita e Pensiero, Milano, 2019, pp. 322, euro 28.00) è apparsa sul "Giornale"del 25 settembre 2019.
Gianfranco Miglio, teorico autentico, viene regolarmente
celebrato dai media come l'ideologo della Lega nord, anteponendo e quindi
circoscrivendo all'avventura politica una pubblicistica enorme e di altissimo
profilo.
Una disattenzione, per certi aspetti, anche
comprensibile visto che il rapporto con Bossi segnò una fase intensa della sua
vita e gli diede notorietà presso il grande pubblico. Quella popolarità, frutto
di numerose apparizioni televisive, lo costrinse tuttavia ad irrigidire
oltremisura una immagine di indisponente e scorbutico consigliere del Principe,
di cinico e spregiudicato Nosferatu (così come lo bollarono alcuni detrattori),
col rischio di veder svilire e mettere in sordina la caratura internazionale
dello studioso, una carriera accademica di assoluto prestigio e scritti che
rimangono ancora oggi come imprescindibili punti di riflessione.
Il lavoro di Miglio ha infatti una serie di meriti. Su
tutti, l'aver messo in campo ogni strumento culturale e accademico affinché
fosse riconosciuta autonomia alla categoria della Politica. Muovendo da Carl
Schmitt, tentò un percorso di diversione e di superamento di cui si chiarisce
ogni singolo passaggio in un bel volume collettaneo dal titolo La politica
pura. Il laboratorio di Gianfranco Miglio (Vita e Pensiero, pagg 336, euro 28)
curato da Damiano Palano e col contributo di nomi importanti della politologia
contemporanea (Marco Bassani, Massimo Cacciari, Alessandro Campi, Paolo
Colombo, Giuseppe Duso, Carlo Galli, Leonida Miglio, Lorenzo Ornaghi, Vittorio
Emanuele Parsi, Pierangelo Schiera e Mario Tronti). Un testo che riconverte in
maniera organica tutti gli snodi, le articolate sollecitazioni e le
ambivalenze, ma che prova a presentire le eventuali direzioni di marcia che
avrebbe potuto prendere il lavoro di ricerca, visti i tanti appunti e materiali
sparsi che nell'ultima fase della sua vita iniziavano a volgere un occhio più
interessato ai nuovi processi globali.
Perché Miglio è stato un «moderno classico» mai
rinchiusosi in una torre eburnea. Sono note sia la sua iniziale militanza nella
Democrazia cristiana che i fondamentali studi sui giuristi cattolici, ma fu la
battaglia campale per il riconoscimento di «scienze politiche» nell'ordinamento
accademico italiano a svelare i suoi propositi. Quella vittoria fu solo un
preambolo di ordine pratico in vista della contesa culturale più importante
della sua vita: l'approdo coerente e tiglioso verso la «teoria pura» della
politica la quale è essenzialmente «lotta per il dominio dell'uomo sull'uomo» e
«lotta contro un nemico». Una «politica pura» che è avulsa dai luoghi comuni,
dalle convinzioni ideologiche e dalle passioni, con l'intento di afferrare la
radice più intima delle relazioni di potere: «Io associo abitualmente l'analisi
scientifica dei comportamenti politici, ad un interiore distacco e parlo di
fredda obiettività, al limite: di disincantata non partecipazione». In questo
modo fissando parametri prestabiliti per arrivare al riconoscimento di
un'autonomia per la categoria della Politica.
Fece tutto ciò percorrendo sentieri anche inesplorati,
elaborando talvolta ipotesi eterodosse e destreggiandosi tra il diritto
internazionale e la storia delle dottrine e delle istituzioni politiche. E poi
avendo come compagni di viaggio maestri quali Tönnies, Weber, Mosca, Pareto, e
tutti gli esponenti della tradizione del realismo politico perché quello, in
fondo, fu il principale percorso «perseguito al di sopra di ogni umano rispetto
e senza indulgenze per le altrui speranze». Con la solita e ricorrente
ambizione di «unificare in un quadro organico le regolarità individuate da
pensatori del passato» e delineare «i contorni di una teoria capace di
unificare in un solo e comprensivo sistema tutte le grandi regolarità della
politica». E sempre in modo tale che la «purezza» non alludesse a «qualche
limpidezza morale» ma al fatto che si dovesse cogliere la radice più profonda e
ineliminabile delle relazioni di potere.
Concentrò infatti le sue analisi sulla regolarità e la
specificità dei fenomeni politici, mentre respinse «il ricorso a elementi
tratti da altri ambiti della convivenza associata» tentando di isolare la
logica dell'homo politicus da quella dell'homo oeconomicus o dell'homo
religiosus. Eppure, un rischio c'era. E lo intuì quando con la caduta del Muro
e il dispiegamento della globalizzazione nuove categorie sembrarono minare
l'autonomia della Politica e le sue analisi non fecero in tempo a tener
pienamente conto di uno scenario che mutava sin dalle fondamenta.
Luigi Iannone
Da qualche giorno nelle librerie
a cura di Damiano Palano
Vita e Pensiero
Milano
pp. 322, euro 28.00
Con contributi di: Pierangelo Schiera, Giuseppe Duso, Mario Tronti, Massimo Cacciari, Carlo Galli, Alessandro Campi, Luigi Marco Bassani, Paolo Colombo,Vittorio Emanuele Parsi, Damiano Palano, Lorenzo Ornaghi, Leo Miglio.
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