di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Mark Lilla, Il naufragio della ragione. Reazione politica e nostalgia moderna (Marsilio, pp. 143, euro 16.00), è apparsa sul quotidiano "Avvenire".
«Quanta nostalgia può sopportare l’America?», si chiese il «Time» all’inizio degli anni Settanta. Prima di approdare nel Vecchio continente, la «mania della nostalgia» sarebbe comunque esplosa soprattutto qualche anno dopo, con il revival della musica degli anni Cinquanta, pellicole come Grease e American graffiti, o serie tv come Happy Days. Molti videro in quel ritorno a un passato edulcorato il tentativo di sfuggire alle tensioni del presente, per ritrovare una pace perduta in una sorta di età dell’oro. Ma non mancò chi vide più di qualche connessione tra la moda della nostalgia e il ritorno sulla scena politica di un rinnovato conservatorismo, che faceva delle tradizioni – più o meno mitizzate – la propria bandiera politica. Molte di queste letture però partivano da una premessa piuttosto discutibile, che di fatto non distingueva il conservatorismo dalla nostalgia, accomunati per la loro opposizione al progresso. Ma soprattutto ritenevano che questi atteggiamenti fossero in fondo irrazionali, dal momento che rifiutavano di confrontarsi con la realtà di trasformazioni irreversibili e di prendere atto che il progresso era inarrestabile.
Negli ultimi anni questa interpretazione della nostalgia è riaffiorata nella discussione sul successo dei movimenti populisti. E molti studiosi hanno in effetti riconosciuto come il richiamo al passato sia un ingrediente quasi immancabile nella retorica delle formazioni anti-establishment. E da questa considerazione prende le mosse anche l’indagine condotta da Mark Lilla nel suo recente Il naufragio della ragione. Reazione politica e nostalgia moderna (Marsilio, pp. 143, euro 16.00). L’ansia dinanzi alle trasformazioni sociali, secondo Lilla, è infatti «il motivo per cui le idee reazionarie antimoderne attraggono così tante persone in tutto il mondo che non hanno nulla in comune quasi nulla a parte la sensazione di essere state tradite dalla storia». I reazionari di oggi avrebbero in sostanza capito che «la nostalgia è un potentissimo motivatore politico, forse ancora più potente della speranza». Ma il libro va soprattutto alla ricerca delle matrici intellettuali del fenomeno, ricostruendone l’itinerario, per la verità attraverso sequenze tutt’altro che lineari. L’attenzione di Lilla – docente alla Columbia University e noto soprattutto come collaboratore della «New York Review of Books» - è rivolto da molti anni alle trasformazioni della cultura liberal americana ed europea. E in particolare all’interesse che gli intellettuali di sinistra – una volta abbandonato il marxismo, tra gli anni Settanta e Ottanta – iniziarono a maturare per pensatori antimoderni, antiprogressisti e talvolta reazionari. Il naufragio della ragione – che ovviamente riecheggia nel titolo italiano la Distruzione della ragione di Lukács – è per molti versi il nuovo capitolo di questa esplorazione. Il punto di partenza è rappresentato da Franz Rosenzweig, Eric Vogelin e Leo Strauss, letti come pensatori che interpretarono la storia moderna dell’Occidente nei termini di un declino innescato da una deriva intellettuale. Ciò che interessa a Lilla è soprattutto l’influenza che Vogelin e Strauss ebbero sul pensiero della destra statunitense, che – rimpiangendo un’America perduta – avrebbe in realtà introiettato un pessimismo di matrice europea. Poi il discorso si spinge a ricercare forme differenti di nostalgia politica nei teo-con, nella fortuna della teologia politica di Schmitt, nell’interesse per San Paolo nutrito da post-marxisti come Alain Badiou. E infine si concentra su Éric Zemmour, autore di un controverso testo sul Suicidio francese, e Sottomissione di Michel Houellebecq.
I
fili che tengono insieme riflessioni tanto diverse sono davvero esili, anche se
non c’è dubbio che l’affresco dipinto da Lilla colga davvero qualcosa dello Zeitgeist contemporaneo e di un
pessimismo che si alimenta di frammenti del passato. Più che interrogarci sulla
sua inclinazione ad accompagnarsi a posizioni reazionarie, ci dovremmo però chiedere
se davvero la nostalgia sia un atteggiamento contrario al progresso. O se
invece non sia strettamente legata proprio a una visione progressista della
storia, di cui finisce per adottare il determinismo. Perché, a ben vedere,
anche la nostalgia – proprio come la fede nel progresso – dà per scontato che
il passato sia definitivamente tramontato. E che possa essere rimpianto proprio
perché si è raggiunta l’età della maturità.
Damiano Palano
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