di
Damiano Palano
Questa recensione al libro Destinati
alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide? (Fazi,
pp. 517, euro 25.00) del politologo Graham Allison è apparso su quotidiano "Avvenire" il 17 febbraio 2019.
Per
gli studiosi di relazioni internazionali, la «trappola di Tucidide» è diventata
negli ultimi anni un tema di ricerca quasi obbligato. Il nome dello storico
ateniese viene evocato per indicare quel meccanismo in virtù del quale gli
Stati Uniti e la Cina, nel prossimo futuro, potrebbero trovarsi impegnati in
una guerra. Nel ricostruire le dinamiche che condussero alla guerra del
Peloponneso, Tucidide aveva infatti messo in luce come l’ascesa economica,
politica e culturale di Atene avesse creato le condizioni dello scontro
militare. «La crescita della potenza ateniese e il timore che ormai incuteva
agli spartani», scrisse lo storico, «resero inevitabile il conflitto». La
«trappola» era consistita cioè tanto nell’avanzata di una nuova potenza, quanto
nel timore nutrito da Sparta, che in precedenza aveva vittoriosamente guidato
le città greche contro i persiani.
Nel suo Destinati
alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide? (Fazi,
pp. 517, euro 25.00), il politologo Graham Allison affronta la questione sulla
scorta dei risultati di un ambizioso progetto di comparazione storica condotto
da un gruppo di ricerca dell’Università di Harvard. Il suo obiettivo consiste
nel comprendere se il meccanismo individuato da Tucidide renda il conflitto
«inevitabile», come fu per Sparta e Atene. Considera così ben sedici casi che,
a partire dal XV secolo, videro una potenza in declino confrontarsi con una
potenza in ascesa. E i risultati della comparazione non sono molto confortanti.
In dodici casi la «trappola» condusse infatti a conflitti militari, mentre solo
in quattro occasioni non ci furono guerre: tra Portogallo e Spagna alla fine
del Quattrocento, tra Regno Unito e Usa tra Otto e Novecento, tra Washington e
Mosca durante la Guerra fredda, tra Francia e Germania dopo il 1989 (nel
confronto per l’influenza sull’Europa). Ovviamente non tutti questi quattro
casi (soprattutto l’ultimo) risultano davvero tra loro confrontabili. Ma è
comprensibile che l’attenzione di Allison si diriga proprio a questi, per
comprendere quali siano le scelte che consentono di allontanare un conflitto. La
tesi del libro è infatti che, nei prossimi decenni, l’eventualità di una guerra
tra Cina e Stati Uniti sarà molto più probabile di quanto di solito si
riconosca, benché uno scontro militare sia tutt’altro che inevitabile. La
storia dimostra piuttosto che le potenze possono gestire pacificamente i
rapporti con i loro rivali, anche con quelli che rischiano di superarli. E, per
quanto riguarda la politica di Washington, la critica di Allison è quantomeno
severa. A suo avviso il presupposto che orienta molte scelte americane, e cioè
l’intento di conservare lo status quo, è irrealistico dinanzi ai ritmi della
crescita cinese. Ciascuno dei due contendenti dovrebbe piuttosto definire con
chiarezza i propri interessi vitali, evitando nelle relazioni reciproche quelle
dissimulazioni che provocano ambiguità e incertezza. Ma, soprattutto, per
evitare di cadere nella «trappola», tanto Washington quanto Pechino dovrebbero
prendere atto che le sfide principali sono, per entrambe le potenze,
soprattutto nazionali.
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