Di
Damiano Palano
Questa recensione al libro di Sungmoon Kim, Democrazia confuciana in Asia Orientale. Teoria e prassi (ObarraO), è apparsa sul quotidiano "Avvenire"
Uno
dei corollari della tesi di Samuel Huntington sullo «scontro delle civiltà»
riguardava la difficoltà di ‘esportare’
la democrazia al fuori dall’Occidente. Secondo il politologo, la causa di
queste resistenze era sostanzialmente culturale: la democrazia, in questa
lettura, è infatti un’idea specificamente ‘occidentale’, fondata sui valori del
pluralismo, della tolleranza, della libertà individuale, e dunque estranea a
gran parte delle tradizioni non occidentali. Sfidando esplicitamente le
posizioni di Huntington, Amartya Sen ha invece sostenuto che anche fuori
dall’Occidente sono fiorite nel passato esperienze riconducibili agli ideali
democratici. Se non ci si concentra solo sul momento elettorale (e dunque sulle
elezioni come strumento per assegnare il potere candidati tra loro in
competizione), e se si allarga lo sguardo verso una più ampia concezione della
discussione politica, si potrebbero infatti rinvenire le tracce di pratiche
democratiche anche in altre aree. Secondo Sen, la deliberazione pubblica e la
cultura della tolleranza possono essere in particolare riconosciute in molte
esperienze estranee all’Occidente, come, per esempio, in alcune specifiche
stagioni della storia indiana, cinese, giapponese e coreana, oltre che nel
passato dell’Iran, della Turchia, del mondo arabo e di molte regioni africane.
E proprio questa «eredità globale», ha notato l’economista, è «una ragione
sufficiente per mettere in dubbio la tesi, spesso ripetuta, che la democrazia
sia un’idea esclusivamente occidentale, e che sia perciò soltanto una forma di
occidentalizzazione».
Quella discussione aveva ovviamente più di qualche
implicazione politica, soprattutto in una stagione in cui – nei primi anni
della seconda guerra del Golfo – l’amministrazione statunitense guidata da
George W. Bush inalberava la bandiera dell’esportazione (militare) della
democrazia. Ma l’ascesa di nuovi protagonisti della politica globale torna a
riproporre la domanda cruciale sull’‘eccezionalità’ della democrazia
occidentale e sull’esistenza – nel passato, nel presente o nel futuro – di una
via alla democrazia alternativa a quella occidentale. Un simile quesito non può
infatti essere considerato puramente accademico in un mondo in cui il baricentro
politico si sposta verso il Pacifico, e in cui la più grande potenza emergente,
la Repubblica Popolare Cinese, appare sempre più lontana da ciò che
consideriamo distintivo di un regime democratico. Anche per questo è stimolante
la lettura del saggio di Sungmoon Kim, Democrazia
confuciana nell’Asia Orientale. Teoria e Prassi (ObarraO edizioni, pp. 512,
euro 19.00), che è anche un’esplorazione nel territorio (non sempre agevole)
della teoria politica comparata. L’obiettivo che si pone il docente della City
University di Hong Kong è di ridefinire il modello della liberaldemocrazia in
termini che siano compatibili con la visione confuciana della società e
dell’ordine politico. E non si tratta di un’impresa agevole, perché molti
studiosi confuciani guardano con sospetto alla democrazia, tanto da
considerarla la fonte dei «mali occidentali». In queste letture, la democrazia
non è solo deprecata come il governo delle masse ignoranti ed egoiste, ma anche
perché le sue basi individualistiche avrebbero come conseguenza pressoché
inevitabile la distruzione dell’armonia sociale e dell’ordine politico. In
altre parole, la contemporanea critica confuciana alla democrazia si indirizza soprattutto
contro l’individualismo atomistico, inteso come elemento destinato a intaccare
i legami comunitari e così a compromettere il bene pubblico. Sungmoon Kim non
condivide questa critica, ma, al tempo stesso, ritiene che la distanza fra le
istituzioni liberaldemocratiche occidentali (importate dall’Occidente) e la
specifica visione confuciana propria dell’Asia orientale non possa essere
liquidata. La sua tesi è piuttosto che «la democrazia nelle società dell’Asia
Orientale avrebbe grande efficacia politica e pertinenza culturale se le sue
radici e il suo funzionamento si fondassero sugli ‘usi e costumi’ confuciani di
cui gli abitanti della regione sono ancora profondamente impregnati, a volte
senza averne coscienza». E, dunque, la democrazia avrebbe maggiore possibilità
di successo se assumesse le vesti di una «democrazia confuciana». Su queste
basi, si trova naturalmente in disaccordo con Huntington, secondo cui l’idea di
una «democrazia confuciana» è una contraddizione in termini. Ma è lontano anche
da chi sostiene che questa declinazione asiatica degli ideali democratici sia
in netto contrasto con la tradizione liberaldemocratica. Secondo simili
posizioni, gli elementi cruciali della visione confuciana – l’importanza
attribuita al consenso tacito come base dell’armonia sociale, l’idea di un sé
sociale simbioticamente legato alla comunità, un’etica rigida dei ruoli sociali
– sarebbero infatti incompatibili con le istituzioni democratiche occidentali.
Secondo Sungmoon Kim, l’opposizione al liberalismo si basa invece su un
fraintendimento, ossia sull’idea che le garanzie liberaldemocratiche siano
necessariamente legate a una concezione individualistica dei diritti. Per
dimostrare che le cose non stanno sempre in questi termini – e che cioè si
possono anche concepire i diritti individuali come attributi di un sé
socialmente ancorato alla comunità – il filosofo utilizza allora la critica
comunitarista al liberalismo di Rawls. Il modello che costruisce ha così la
struttura formale di un regime liberaldemocratico. Ma a rendere confuciano
questo assetto «provvedono gli incessanti adattamenti dei diritti politici di
supposta matrice liberale secondo i termini confuciani, ovvero la loro
riappropriazione in riferimento alla ragione pubblica confuciana».
Certo l’Asia orientale continua a rimanere un’area
piuttosto inospitale per le istituzioni liberaldemocratiche, e probabilmente
continuerà a esserlo nei prossimi anni. Ma il tentativo di Sungmoon Kim è un’interessante
esplorazione in un territorio in larga parte sconosciuto. Ed è anche un invito
a pensare in quali direzioni la democrazia si muoverà nel mondo
‘post-occidentale’ che ci attende.
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