domenica 5 maggio 2019

Può esistere una democrazia confuciana? Un libro di Sungmoon Kim



Di Damiano Palano
Questa recensione al libro di Sungmoon Kim, Democrazia confuciana in Asia Orientale. Teoria e prassi (ObarraO), è apparsa sul quotidiano "Avvenire"

Uno dei corollari della tesi di Samuel Huntington sullo «scontro delle civiltà» riguardava la difficoltà di ‘esportare’ la democrazia al fuori dall’Occidente. Secondo il politologo, la causa di queste resistenze era sostanzialmente culturale: la democrazia, in questa lettura, è infatti un’idea specificamente ‘occidentale’, fondata sui valori del pluralismo, della tolleranza, della libertà individuale, e dunque estranea a gran parte delle tradizioni non occidentali. Sfidando esplicitamente le posizioni di Huntington, Amartya Sen ha invece sostenuto che anche fuori dall’Occidente sono fiorite nel passato esperienze riconducibili agli ideali democratici. Se non ci si concentra solo sul momento elettorale (e dunque sulle elezioni come strumento per assegnare il potere candidati tra loro in competizione), e se si allarga lo sguardo verso una più ampia concezione della discussione politica, si potrebbero infatti rinvenire le tracce di pratiche democratiche anche in altre aree. Secondo Sen, la deliberazione pubblica e la cultura della tolleranza possono essere in particolare riconosciute in molte esperienze estranee all’Occidente, come, per esempio, in alcune specifiche stagioni della storia indiana, cinese, giapponese e coreana, oltre che nel passato dell’Iran, della Turchia, del mondo arabo e di molte regioni africane. E proprio questa «eredità globale», ha notato l’economista, è «una ragione sufficiente per mettere in dubbio la tesi, spesso ripetuta, che la democrazia sia un’idea esclusivamente occidentale, e che sia perciò soltanto una forma di occidentalizzazione».
Quella discussione aveva ovviamente più di qualche implicazione politica, soprattutto in una stagione in cui – nei primi anni della seconda guerra del Golfo – l’amministrazione statunitense guidata da George W. Bush inalberava la bandiera dell’esportazione (militare) della democrazia. Ma l’ascesa di nuovi protagonisti della politica globale torna a riproporre la domanda cruciale sull’‘eccezionalità’ della democrazia occidentale e sull’esistenza – nel passato, nel presente o nel futuro – di una via alla democrazia alternativa a quella occidentale. Un simile quesito non può infatti essere considerato puramente accademico in un mondo in cui il baricentro politico si sposta verso il Pacifico, e in cui la più grande potenza emergente, la Repubblica Popolare Cinese, appare sempre più lontana da ciò che consideriamo distintivo di un regime democratico. Anche per questo è stimolante la lettura del saggio di Sungmoon Kim, Democrazia confuciana nell’Asia Orientale. Teoria e Prassi (ObarraO edizioni, pp. 512, euro 19.00), che è anche un’esplorazione nel territorio (non sempre agevole) della teoria politica comparata. L’obiettivo che si pone il docente della City University di Hong Kong è di ridefinire il modello della liberaldemocrazia in termini che siano compatibili con la visione confuciana della società e dell’ordine politico. E non si tratta di un’impresa agevole, perché molti studiosi confuciani guardano con sospetto alla democrazia, tanto da considerarla la fonte dei «mali occidentali». In queste letture, la democrazia non è solo deprecata come il governo delle masse ignoranti ed egoiste, ma anche perché le sue basi individualistiche avrebbero come conseguenza pressoché inevitabile la distruzione dell’armonia sociale e dell’ordine politico. In altre parole, la contemporanea critica confuciana alla democrazia si indirizza soprattutto contro l’individualismo atomistico, inteso come elemento destinato a intaccare i legami comunitari e così a compromettere il bene pubblico. Sungmoon Kim non condivide questa critica, ma, al tempo stesso, ritiene che la distanza fra le istituzioni liberaldemocratiche occidentali (importate dall’Occidente) e la specifica visione confuciana propria dell’Asia orientale non possa essere liquidata. La sua tesi è piuttosto che «la democrazia nelle società dell’Asia Orientale avrebbe grande efficacia politica e pertinenza culturale se le sue radici e il suo funzionamento si fondassero sugli ‘usi e costumi’ confuciani di cui gli abitanti della regione sono ancora profondamente impregnati, a volte senza averne coscienza». E, dunque, la democrazia avrebbe maggiore possibilità di successo se assumesse le vesti di una «democrazia confuciana». Su queste basi, si trova naturalmente in disaccordo con Huntington, secondo cui l’idea di una «democrazia confuciana» è una contraddizione in termini. Ma è lontano anche da chi sostiene che questa declinazione asiatica degli ideali democratici sia in netto contrasto con la tradizione liberaldemocratica. Secondo simili posizioni, gli elementi cruciali della visione confuciana – l’importanza attribuita al consenso tacito come base dell’armonia sociale, l’idea di un sé sociale simbioticamente legato alla comunità, un’etica rigida dei ruoli sociali – sarebbero infatti incompatibili con le istituzioni democratiche occidentali. Secondo Sungmoon Kim, l’opposizione al liberalismo si basa invece su un fraintendimento, ossia sull’idea che le garanzie liberaldemocratiche siano necessariamente legate a una concezione individualistica dei diritti. Per dimostrare che le cose non stanno sempre in questi termini – e che cioè si possono anche concepire i diritti individuali come attributi di un sé socialmente ancorato alla comunità – il filosofo utilizza allora la critica comunitarista al liberalismo di Rawls. Il modello che costruisce ha così la struttura formale di un regime liberaldemocratico. Ma a rendere confuciano questo assetto «provvedono gli incessanti adattamenti dei diritti politici di supposta matrice liberale secondo i termini confuciani, ovvero la loro riappropriazione in riferimento alla ragione pubblica confuciana».
Certo l’Asia orientale continua a rimanere un’area piuttosto inospitale per le istituzioni liberaldemocratiche, e probabilmente continuerà a esserlo nei prossimi anni. Ma il tentativo di Sungmoon Kim è un’interessante esplorazione in un territorio in larga parte sconosciuto. Ed è anche un invito a pensare in quali direzioni la democrazia si muoverà nel mondo ‘post-occidentale’ che ci attende.

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