di Damiano Palano
Mercoledì 6
marzo, alle 12.30, nella Sala della Gloria dell’Università Cattolica di Brescia
(Via Trieste 17), verrà presentato il rapporto 2019 realizzato dall’Istituto
per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) e intitolato «La fine di un
mondo. La deriva dell’ordine liberale».
La discussione, cui prenderanno parte Enrico
Fassi, Damiano Palano e Arturo Varvelli (Ispi), è il primo appuntamento del
ciclo «L’Europa al bivio», organizzato dalla Facoltà di Scienze politiche e
sociali in vista delle elezioni di fine maggio. I
l rapporto «La fine di un
mondo» può essere scaricato gratuitamente su www.ispionline.it.
Di seguito viene
anticipato uno stralcio dell’intervento di Damiano Palano.
A livello globale, i segnali
di una significativa «recessione democratica» sono piuttosto evidenti.
Innanzitutto, si è esaurita da ormai più di un decennio la residua spinta
propulsiva della «terza ondata» di democratizzazione, ossia della marcia di
espansione della democrazia liberale nel mondo cominciata nel 1974 con la
caduta del regime autoritario in Portogallo e poi proseguita alla fine degli
anni Ottanta con la dissoluzione dei regimi del socialismo reale.
Ulteriori segnali di una
significativa «recessione democratica» giungono però anche dalle dinamiche
interne dei sistemi politici occidentali, e più precisamente nel logoramento di
alcune delle garanzie che consentono la competitività tra partiti e il
pluralismo informativo. Insieme all’evoluzione della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, gli esempi più significativi
di questa tendenza sono offerti da due Stati membri dell’Unione europea come
Ungheria e Polonia, che – in virtù di misure ritenute lesive della libertà di
espressione e dell’indipendenza della magistratura dal potere politico – sono considerati
da molti osservatori come casi di «democrazia illiberale». Lo stesso Orbán in
diverse occasioni ha d’altronde definito il proprio modello di riferimento come
una «democrazia cristiana illiberale», che, contrastando l’indirizzo
multiculturalista e cosmopolitico delle élite tecnocratiche dell’Ue, punta a
difendere gli interessi e le tradizioni nazionali, sulla base di un vasto
sostegno popolare. Più in generale, i segnali di una «contro-rivoluzione» anti-liberale
possono essere riconosciuti in tutti quei sistemi politici – per esempio in
Austria, in Francia, in Germania, in Italia, nei Paesi Bassi e negli Stati
Uniti di Trump – che, nel corso degli ultimi anni, sono stati teatro dell’ascesa
di formazioni «neo-populiste» portatrici di posizioni anti-immigrazione,
anti-globalizzazione e anti-establishment, più o meno connotate in senso
nazionalista e nativista. E così, se alla fine degli anni Novanta la formula
«democrazia illiberale» identificava regimi «ibridi» nei quali il processo di
democratizzazione si era arrestato, oggi viene invece a indicare soprattutto un
assetto contrassegnato da una progressiva divaricazione tra democrazia e
liberalismo, verso cui potrebbero indirizzarsi in misura crescente anche gli stessi
sistemi politici occidentali.
Si può scaricare il testo completo al sito
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