Pagine

mercoledì 24 ottobre 2018

La storia maestra di politologia. Un libro curato da Marco Almagisti, Carlo Baccetti e Paolo Graziano


 

di Damiano Palano


Questa recensione al volume Introduzione alla politologia storica. Questioni teoriche e studi di caso, curato da Marco Almagisti, Carlo Baccetti e Paolo Graziano (Carocci, pp. 287, euro, 27.00), è apparsa, in una versione leggermente diversa, su "Avvenire" il 19 ottobre 2018.

Nel 1936, in uno dei suoi ultimi lavori, Gaetano Mosca scrisse che la «vera scienza politica» doveva rivolgersi allo studio «delle cause delle lente decadenze e delle crisi». E tornò a ribadire anche una sua antica convinzione. Fin da mezzo secolo prima, Mosca – che, in virtù dei suoi Elementi di scienza politica, apparsi nel 1896, è considerato come il fondatore della moderna politologia italiana – aveva infatti criticato le seduzioni del positivismo allora in auge, il quale aveva spesso ricondotto lo studio degli organismi politici a determinanti biologiche, razziali o geografiche. Per lo studioso palermitano, l’unico modo di scoprire le «tendenze psicologiche costanti» che guidavano la vita degli organismi politici era invece studiare il passato. E si augurava, così, che «l’immenso materiale storico raccolto nel secolo decimonono e nei primi decenni del ventesimo» rendesse possibile la creazione di una vera scienza politica, capace di «insegnare agli uomini di Stato e alle classi dirigenti la maniera di scongiurare quei periodi di decadenza», oltre che le «crisi violente» destinate a dare origine a dolori e durature lacerazioni.

La scienza politica di oggi non rende a Mosca molto più dell’omaggio rituale concesso agli antichi precursori. E per molti versi è quasi inevitabile che una disciplina scientifica, una volta entrata nella sua maturità, debba dimenticare i suoi fondatori. Meno scontato è invece che la politologia italiana, nel corso degli anni, abbia in larga parte rimosso dal proprio orizzonte la dimensione storica. Il consolidamento (anche accademico) della disciplina, realizzatosi nell’ultimo trentennio, ha d’altronde fatto emergere nuovi problemi, legati all’accentuata specializzazione e alla frammentazione tra differenti campi di indagine. Imboccando il sentiero della specializzazione, la ricerca politologica ha conquistato metodologie sempre più raffinate e accurate. Ma ha finito talvolta col concentrarsi su domande poco ambiziose e circoscritte. Ha così abbandonato molte di quelle questioni che invece i ‘classici’ avevano posto al cuore della loro riflessione, a partire dall’indagine sulle cause della decadenza degli organismi politici. E le conoscenze che produce – per quanto conseguite con strumenti raffinati – rischiano dunque di rivelarsi del tutto irrilevanti per affrontare le grandi trasformazioni che investono le nostre società. 
È da una simile consapevolezza che muovono i saggi raccolti nel volume Introduzione alla politologia storica. Questioni teoriche e studi di caso, curato da Marco Almagisti, Carlo Baccetti e Paolo Graziano (Carocci, pp. 287, euro, 27.00). L’obiettivo dei curatori non è ovviamente quello di ricondurre la scienza politica nell’alveo della ricerca storica, né di cancellare le differenze metodologiche. Per un verso, la conoscenza storica – pur ponendosi talvolta domande di carattere generale – non può aggirare l’impegno di rappresentare, in tutta la sua complessità, una specifica esperienza. Per l’altro, la scienza politica conserva invece uno sguardo ‘riduzionista’, perché – anche quando si concentri sul singolo caso – punta a cogliere delle uniformità destinate a riproporsi in differenti contesti. Ma secondo Almagisti, Baccetti e Graziano è impossibile «comprendere i principali processi politici della contemporaneità senza fare riferimento alla ‘lunga durata’ dei processi storici». La politologia storica configura dunque una prospettiva di ricerca che si fonda «sul riconoscimento dell’importanza dei mutamenti di lungo periodo come chiave interpretativa della contemporaneità». E che ricorre alla comparazione storica (fra un numero limitato di casi) per spiegare la logica delle trasformazioni politiche.

Nel volume vengono ripresi i contributi di ‘classici’ come Max Weber, Antonio Gramsci e Stein Rokkan, che possono essere arruolati tra gli alfieri della politologia storica. E il panorama potrebbe arricchirsi ulteriormente, considerando studiosi (tra loro ben diversi) come Otto Hinze, Reinhard Bendix, Barrington Moore, Charles Tilly, Theda Skocpol, Perry Anderson o Immanuel Wallerstein. Non è inoltre sorprendente che nel libro siano ospitati diversi contributi dedicati alle culture politiche italiane. Almeno in Italia è infatti proprio questo l’ambito in cui la prospettiva della politologia storica ha trovato maggiori occasioni di consolidamento (basti pensare alle indagini sulle subculture politiche territoriali o alle ricerche avviate dalle ipotesi di Robert D. Putnam sulle origini del capitale sociale). Ed è probabilmente questo stesso campo che la politologia storica dovrà tornare a frequentare nei prossimi anni. Non tanto perché guardando alla lezione del passato si possa davvero scoprire – come si augurava Mosca – il modo di evitare le crisi e la decadenza. Quanto perché la politologia storica ci può forse consentire di cogliere i nessi che legano il nostro passato – vicino e lontano – a un presente segnato dall’apparente ‘liquefazione’ di tutte le vecchie identità politiche.



 Damiano Palano



La prospettiva della politologia storica sarà al centro di una discussione sul libro di Marco Almagisti, Una democrazia possibile. Politica e territorio nell'Italia contemporanea (Carocci), con Vittorio Parsi e Damiano Palano, che si svolgerà giovedì 24 ottobre 2018 alle ore 18.00 presso l'Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri), in Via San Vittore 18 a Milano 


Nessun commento:

Posta un commento