di
Damiano Palano
Probabilmente
la bandiera della pace con i colori dell’arcobaleno comparve per la prima volta
in Italia in occasione della prima marcia Perugia-Assisi, nel 1961. Nei
successivi due decenni il movimento pacifista rimase comunque un soggetto del
tutto marginale nel quadro della politica italiana, e quel vessillo rimase a
lungo pressoché assente dalle piazze. Una cesura si registrò invece a partire
dal 1981, quando, dopo la definitiva conclusione del «lungo Sessantotto», il
tema della pace divenne improvvisamente centrale. La campagna di protesta
contro l’installazione di missili cruise, culminata nel 1983, coagulò infatti un
fronte trasversale, che non coinvolgeva più solo gruppi religiosi e militanti
radicali. Ovviamente ognuna delle componenti forniva della «pace» declinazioni specifiche,
che risentivano delle rispettive impostazioni ideologiche e culturali. Ma per
molti versi quella mobilitazione palesava la comune richiesta di oltrepassare
la logica della Guerra fredda e della divisione in blocchi. Negli ultimi
vent’anni, il movimento pacifista italiano è invece stato una presenza ben più
costante rispetto al passato. Ma lo scenario con cui si è dovuto confrontare è stato
molto diverso da quello che, al principio degli anni Ottanta, vide esplodere la
mobilitazione contro le installazioni missilistiche. E il libro di Andrea
Catanzaro e Fabrizio Coticchia, Al di là
del’Arcobaleno. I movimenti pacifisti italiani tra ideologie e
contro-narrazioni strategiche (Vita e Pensiero, pp. 191, euro 22.00), cerca
di ricostruire le traiettorie (soprattutto comunicative) del mutamento.
Anche se spesso ai movimenti
pacifisti viene rimproverata la scarsa capacità di incidere sulle logiche della
Realpolitik, i due studiosi mostrano innanzitutto
che le cose sono più complesse. E, soprattutto, che oggi l’efficacia
dell’azione pacifista non si misura solo sulla capacità di organizzare grandi
manifestazioni di piazza. Nel contesto post-bipolare, la risorsa della
‘narrazione strategica’ è diventata infatti uno strumento cruciale per gli
Stati occidentali. In sostanza, gli attori politici hanno la necessità di
elaborare strategie comunicative per convincere i propri cittadini a sostenere
l’invio di truppe all’estero o l’acquisto di programmi d’armamento. Spiegare le
esigenze strategiche al pubblico non è sempre semplice. E per questo la narrazione strategica – una storia che
‘racconta’ le tensioni della politica internazionale in modo persuasivo (oltre
che in modo semplificato) – diventa tanto importante. Ma per gli stessi motivi è
cruciale per i movimenti pacifisti sviluppare una ‘contro-narrazione’,
potenzialmente in grado di convincere il pubblico raccontando una ‘storia
alternativa’. E il libro mostra come, proprio sotto questo profilo, i pacifisti
siano tutt’altro che assenti, anche se negli ultimi anni le manifestazioni
oceaniche sono diventate un ricordo. La loro strategia si è invece in parte
modificata. La trasformazione emerge soprattutto osservando le principali
‘contro-narrazioni’ adottate dal movimento pacifista italiano dopo l’11
settembre 2001. Il frame più
utilizzato – e cioè il principale schema interpretativo della realtà, in grado
di ‘incorniciare’ una notizia e dunque di consentire al pubblico di
interpretarla (anche senza disporre di un bagaglio conoscitivo particolarmente
elaborato) – rimane quello che si richiama direttamente al valore della pace.
Altri chiamano in causa invece l’importanza dell’unilateralismo, i costi e la
limitata efficacia dei programmi di sicurezza o le contraddizioni nella
narrazione dominante. E nel corso del tempo le strategie sono state ben
diverse. La dimensione simbolica del pacifismo ebbe per esempio un ruolo
centrale nella mobilitazione contro la guerra in Iraq del 2003. Ma il tema
della pace è diventato sempre più importante anche nelle narrazioni utilizzate
per legittimare le operazioni militari, e inoltre la complessità delle
questioni – come nel caso dell’intervento in Libia del 2011 – ha reso spesso difficile
conservare l’unità del movimento. Nella campagna contro l’acquisizione dei
caccia F-35 la contro-narrazione non ha dunque puntato principalmente sul frame simbolico. Ha piuttosto messo in evidenza
i costi elevati del programma, ne ha contestato l’efficacia e ha sottolineato
la mancanza di una reale visione strategica. Proprio alla luce di questa
campagna, Catanzaro e Coticchia ritengono che il movimento pacifista stia
modificando le proprie strategie comunicative. Alla tradizionale mobilitazione centrata
sulla dimensione simbolica (che comunque non può essere abbandonata), tenderebbero
cioè ad affiancarsi una nuova capacità di analisi e il tentativo di esercitare una
diretta azione di lobbying sui decisori
politici. E proprio per questo, sostengono i due ricercatori, l’arcipelago
pacifista sembra procedere «al di là dell’arcobaleno».
Questa recensione al volume di Andrea Catanzaro e Fabrizio Coticchia, Al di là del’Arcobaleno. I movimenti pacifisti italiani tra ideologie e
contro-narrazioni strategiche (Vita e Pensiero, pp. 191, euro 22.00), è apparsa su "Avvenire" del 15 settembre 2018.
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