Di
Damiano Palano
Questa recensione al volume di Giovanni Emidio Palaia, La stazione di arrivo dell’uomo. La persona e il suo destino nel
pensiero filosofico-politico di Giorgio La Pira (Editoriale Scientifica,
pp. 315, euro 24.00) è apparsa su "Avvenire" il 25 maggio 2018.
La
figura di Giorgio La Pira ha lasciato un’impronta profonda nella storia
italiana della seconda metà del Novecento. La sua attività intellettuale, l’apporto
che diede alla costruzione della Democrazia Cristiana, la partecipazione alla
Costituente, l’impegno per la pace e il ruolo che rivestì come sindaco di
Firenze sono stati ricostruiti con precisione. Forse minore attenzione è stata invece
dedicata alla riflessione teorica del «Sindaco Santo», e proprio per questo è
molto utile il volume di Giovanni Emidio Palaia, La stazione di arrivo dell’uomo. La persona e il suo destino nel
pensiero filosofico-politico di Giorgio La Pira (Editoriale Scientifica,
pp. 315, euro 24.00). Nel libro viene infatti ripercorsa la traiettoria
intellettuale di La Pira, ma soprattutto si chiarisce come la filosofia
politica fosse per l’intellettuale siciliano una scientia pratica, diretta a difendere la persona umana.
Nel
ricostruire il percorso di La Pira, Palaia parte dagli studi liceali, compiuti
a Messina, e dall’interesse per il diritto romano, che lo condussero a Firenze.
Iscrittosi nel 1922 alla Facoltà di Giurisprudenza di Messina, La Pira conobbe
infatti Emilio Betti, che due anni dopo si trasferì dapprima a Parma e poi a
Firenze. Fu così proprio per seguire Betti che, nel 1926, il giovane di
Pozzallo si trasferì nel capoluogo toscano, dove terminò gli esami e conseguì
la laurea. Negli anni seguenti, continuò i propri studi, sempre sotto la guida
del maestro Betti, col quale ebbe sempre ottimi rapporti. Non molto tempo dopo
iniziò però a delinearsi la sua specifica personalità intellettuale. Se infatti
il diritto romano rimase uno dei cardini della propria concezione, un ruolo
altrettanto importante ebbero la filosofia aristotelico-tomista e il Vangelo,
che – come nota opportunamente Palaia – non rappresentava un’aggiunta rispetto
agli altri due elementi, bensì la fonte capace di aprire una nuova prospettiva
sull’ordine naturale.
Alla
base dell’intera riflessione di La Pira si trova il concetto di persona, definito
a partire dalla filosofia di Tommaso e in relazione con il dibattito condotto
in quegli stessi anni da intellettuali come De Lubac, Guardini, Maritain e Mounier.
Quella concezione si tradusse inoltre in una specifica visione dello Stato
democratico, che, pur combinandosi con l’apporto proveniente da altre culture e
da altre forze politiche, incise sulla fisionomia del nuovo edificio
costituzionale. E anche per questo il modello di democrazia delineato dalla
Carta del ’48 reca una forte impronta personalista e pluralista.Dopo essere stato eletto all’Assemblea costituente il 2 giugno 1946, lo studioso siciliano venne infatti nominato nella Commissione incaricata di redigere il progetto di Costituzione. Nel suo Architettura di uno Stato democratico, chiarì come doveva essere affrontata la costruzione di un nuovo ordinamento. Dovevano essere innanzitutto riconosciute le cause che, con l’avvento del fascismo, avevano condotto alla caduta dello Stato liberale. La crisi era stata in primo luogo un prodotto della concezione individualista risalente a Rousseau, da cui era derivato un modello statuale costituito da elementi di natura non sociale (e dunque da una scorretta concezione del rapporto tra individui e società). In secondo luogo, era stata una conseguenza della visione riconducibile a Marx, in cui lo studioso siciliano ravvisava i due limiti principali dell’ateismo e dello statalismo (eredità hegeliana). L’architettura dell’ordine democratico doveva invece poggiarsi saldamente sull’idea dell’anteriorità dei diritti naturali della persona rispetto allo Stato. «La persona umana», scrisse per esempio, «ha fini propri che non si esauriscono nei fini sociali e statali». Inoltre, precisava La Pira, dal momento che lo sviluppo della personalità dell’uomo si svolge in diversi organismi (come la famiglia, gli enti territoriali, le comunità di lavoro, i partiti e le comunità religiose), la persona ha diritti (e doveri) «collegati a tutti questi stati costitutivi della sua personalità». Solo riconoscendo l’autonomia di queste formazioni si sarebbero potute evitare le conseguenze nefaste dell’individualismo e dello statalismo. E solo in questo modo l’architettura del nuovo Stato democratico sarebbe diventata uno strumento capace di agevolare «il libero sviluppo esterno ed interiore della persona»
Damiano Palano
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