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giovedì 17 maggio 2018

La risorsa del gratuito contro le disparità globali. Un volume di Mario Giro




di Damiano Palano

Questa recensione del volume di Mario Giro La globalizzazione difficile. Ridisegnare la convivenza al tempo delle emozioni (Mondadori Università, pp. 154, euro 12.00), è apparsa su "Avvenire".

Nel 2005, in un libro che riscosse un certo successo, Thomas Friedman scrisse che il mondo nel ventunesimo secolo sarebbe diventato «piatto». La globalizzazione avrebbe cioè progressivamente ridotto le distanze (non solo geografiche) tra paesi poveri e paesi ricchi, mentre le nuove tecnologie avrebbero consentito di superare tutte le vecchie barriere culturali e temporali che dividevano le varie aree del pianeta. A poco più di dieci anni sappiamo che le cose sono quantomeno più complicate. Non ci sono dubbi sul fatto che le trasformazioni tecnologiche stiano davvero abbattendo le distanze. E probabilmente la globalizzazione economica è davvero un processo inarrestabile, nonostante i segnali di ‘chiusura’ degli ultimi tempi. Ma continua ad apparire davvero troppo ottimistica l’idea che l’«appiattimento» del mondo consenta di superare le barriere culturali (e politiche).
Forse si può trarre anche questa lezione dal volume di Mario Giro, La globalizzazione difficile. Ridisegnare la convivenza al tempo delle emozioni (Mondadori Università, pp. 154, euro 12.00). 
Esperto di Africa, Islam e mediazioni, Giro – che ha ricoperto l’incarico di viceministro degli Affari Esteri nel governo Gentiloni – riflette infatti sulle molte increspature che rendono il mondo unificato dalla tecnologia molto meno ‘piatto’ di quanto si confidava alcuni anni fa. Alcuni rilevanti segnali di crisi attraversano d’altronde anche le democrazie mature. Se il sistema occidentale dopo il 1989 ha avuto il sopravvento nei confronti dell’avversario sovietico, il nuovo ciclo – osserva l’autore – finisce paradossalmente col premiare l’Asia, e questa evoluzione imprevista innesca in Europa e Stati Uniti una spirale di sfiducia, depressione e paura. Non si tratta però di un’eccezione. La fine delle ideologie, delle grandi narrazioni e dei grandi progetti di trasformazione ci lascia in una condizione di «spaesamento», che spinge talvolta alla ricerca di un’«autenticità» inevitabilmente illusoria. Inoltre, secondo Giro – che sviluppa in questo senso alcune intuizioni del politologo Dominique Moïsi – la fine delle ideologie apre la strada all’avvento delle culture, delle identità e delle emozioni. In altre parole, la globalizzazione, se certo per un verso ‘appiattisce’ il mondo, dall’altro innesca reazioni, che si alimentano – ben più che a ideologie chiaramente definite – a emozioni, destinate a tradursi in atteggiamenti politici. Tra cui ovviamente soprattutto la paura, che diventa cultura del disprezzo nei confronti dell’altro e che in Europa si concentra prevalentemente sugli «stranieri», anche se – a ben vedere – è «straniero» tutto quello che sembra minacciare il nostro stile di vita. Un altro aspetto della reazione emotiva alla globalizzazione è il «presentismo», il ripiegamento verso tutto ciò che è legato a un presente rassicurante. Ma il presentismo implica anche il rifiuto della politica, dei suoi tempi e delle sue modalità di mediazione. E intrecciandosi con l’aumento delle diseguaglianze economiche, non può che andare a indebolire la democrazia e a depotenziarne la stessa idea proprio nel cuore dell’Occidente.

Anche se è molto lontano dalle raffigurazioni ottimistiche della globalizzazione che si moltiplicavano alcuni anni fa, il discorso di Giro non è pessimista. Pur attraversando con realismo le increspature del mondo globalizzato, rifiuta infatti decisamente le seduzioni del declinismo. Individua anzi un percorso possibile, rivolto principalmente verso la gratuità. «In una società dove tutto si scambia, si monetizza, si banalizza, niente alla fine sembra veramente importante». Mentre è proprio la gratuità a rappresentare un antidoto. Perché solo «il gratuito, ciò che è inutile all’apparenza, che è inammissibile, può condurre ad una reazione, una contraddizione». Ovviamente la gratuità non è qualcosa che, pur ‘calcolato’, non viene fatto pagare. È piuttosto «un dono che non si calcola», che si sottrae cioè a qualsiasi logica utilitarista. E nella «globalizzazione difficile», secondo Giro, proprio lo spazio del ‘gratuito’ – uno spazio che ovviamente le istituzioni non possono né creare né alimentare – rappresenta un’enorme risorsa. Capace anche di rispondere alla richiesta generale di legami di un mondo spaesato e solo all’apparenza sempre più ‘piatto’.

Damiano Palano

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