di
Damiano Palano
Questa recensione del volume di Mario Giro La globalizzazione difficile. Ridisegnare la convivenza al tempo delle emozioni (Mondadori Università, pp. 154, euro 12.00), è apparsa su "Avvenire".
Nel
2005, in un libro che riscosse un certo successo, Thomas Friedman scrisse che
il mondo nel ventunesimo secolo sarebbe diventato «piatto». La globalizzazione
avrebbe cioè progressivamente ridotto le distanze (non solo geografiche) tra
paesi poveri e paesi ricchi, mentre le nuove tecnologie avrebbero consentito di
superare tutte le vecchie barriere culturali e temporali che dividevano le
varie aree del pianeta. A poco più di dieci anni sappiamo che le cose sono
quantomeno più complicate. Non ci sono dubbi sul fatto che le trasformazioni
tecnologiche stiano davvero abbattendo le distanze. E probabilmente la
globalizzazione economica è davvero un processo inarrestabile, nonostante i
segnali di ‘chiusura’ degli ultimi tempi. Ma continua ad apparire davvero
troppo ottimistica l’idea che l’«appiattimento» del mondo consenta di superare
le barriere culturali (e politiche).
Forse si può trarre anche questa
lezione dal volume di Mario Giro, La
globalizzazione difficile. Ridisegnare la convivenza al tempo delle emozioni
(Mondadori Università, pp. 154, euro 12.00).
Esperto di Africa, Islam e
mediazioni, Giro – che ha ricoperto l’incarico di viceministro degli Affari
Esteri nel governo Gentiloni – riflette infatti sulle molte increspature che
rendono il mondo unificato dalla tecnologia molto meno ‘piatto’ di quanto si
confidava alcuni anni fa. Alcuni rilevanti segnali di crisi attraversano
d’altronde anche le democrazie mature. Se il sistema occidentale dopo il 1989
ha avuto il sopravvento nei confronti dell’avversario sovietico, il nuovo ciclo
– osserva l’autore – finisce paradossalmente col premiare l’Asia, e questa
evoluzione imprevista innesca in Europa e Stati Uniti una spirale di sfiducia,
depressione e paura. Non si tratta però di un’eccezione. La fine delle
ideologie, delle grandi narrazioni e dei grandi progetti di trasformazione ci
lascia in una condizione di «spaesamento», che spinge talvolta alla ricerca di
un’«autenticità» inevitabilmente illusoria. Inoltre, secondo Giro – che
sviluppa in questo senso alcune intuizioni del politologo Dominique Moïsi – la
fine delle ideologie apre la strada all’avvento delle culture, delle identità e
delle emozioni. In altre parole, la globalizzazione, se certo per un verso
‘appiattisce’ il mondo, dall’altro innesca reazioni, che si alimentano – ben
più che a ideologie chiaramente definite – a emozioni, destinate a tradursi in
atteggiamenti politici. Tra cui ovviamente soprattutto la paura, che diventa
cultura del disprezzo nei confronti dell’altro e che in Europa si concentra
prevalentemente sugli «stranieri», anche se – a ben vedere – è «straniero»
tutto quello che sembra minacciare il nostro stile di vita. Un altro aspetto
della reazione emotiva alla globalizzazione è il «presentismo», il ripiegamento
verso tutto ciò che è legato a un presente rassicurante. Ma il presentismo
implica anche il rifiuto della politica, dei suoi tempi e delle sue modalità di
mediazione. E intrecciandosi con l’aumento delle diseguaglianze economiche, non
può che andare a indebolire la democrazia e a depotenziarne la stessa idea
proprio nel cuore dell’Occidente.
Anche se è molto lontano
dalle raffigurazioni ottimistiche della globalizzazione che si moltiplicavano
alcuni anni fa, il discorso di Giro non è pessimista. Pur attraversando con
realismo le increspature del mondo globalizzato, rifiuta infatti decisamente le
seduzioni del declinismo. Individua anzi un percorso possibile, rivolto
principalmente verso la gratuità. «In una società dove tutto si scambia, si
monetizza, si banalizza, niente alla fine sembra veramente importante». Mentre
è proprio la gratuità a rappresentare un antidoto. Perché solo «il gratuito,
ciò che è inutile all’apparenza, che è inammissibile, può condurre ad una
reazione, una contraddizione». Ovviamente la gratuità non è qualcosa che, pur
‘calcolato’, non viene fatto pagare. È piuttosto «un dono che non si calcola»,
che si sottrae cioè a qualsiasi logica utilitarista. E nella «globalizzazione
difficile», secondo Giro, proprio lo spazio del ‘gratuito’ – uno spazio che
ovviamente le istituzioni non possono né creare né alimentare – rappresenta
un’enorme risorsa. Capace anche di rispondere alla richiesta generale di legami
di un mondo spaesato e solo all’apparenza sempre più ‘piatto’.
Damiano Palano
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