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giovedì 17 maggio 2018

Call for papers Sisp 2018 - Due Panel: "Democrazia e ri-definizioni. La teoria politica e il «malessere» della teoria democratica" e "Grandi capi e pessimi leader. È possibile valutare la qualità della classe politica?"




Ancora per alcuni giorni (fino al 23 maggio) è possibile avanzare proposte di paper per il Convegno della Società Italiana di Scienza Politica che si terrà a Torino nel settembre 2018.

Possono inviare proposte sia gli iscritti sia i non iscritti alla Sisp. In ogni caso, è necessario utilizzare la piattaforma mysisp.

Si segnalano di seguito due panel, rispettivamente inseriti nella sezione Teoria politica e nella sezione "(Mal)governo e qualità della classe politica"



Panel 2.8 Democrazia e ri-definizioni. La teoria politica e il «malessere» della teoria democratica

Chair: Damiano Palano e Giulio De Ligio

La teoria politica e il «malessere» della teoria democratica Chair: Damiano Palano Nel corso del XX secolo le diagnosi intorno alla ‘crisi’, al ‘declino’ e alla ‘trasformazione’ della democrazia hanno rappresentato una sorta di vero e proprio genere della letteratura politica e politologica. Nelle diverse stagioni del «secolo breve» (e a seconda della specifica prospettiva d’osservazione), sono però notevolmente mutati i fattori dipinti come ‘cause’ principali della «crisi». Nell’ultimo quarto di secolo le voci che, con toni più o meno allarmati, hanno iniziato a segnalare una nuova «crisi» delle istituzioni democratiche si sono fatte comunque piuttosto insistenti. Proprio mentre il numero complessivo dei regimi democratici cresceva in modo significativo e mentre il principio democratico sembrava avere definitivamente sbaragliato i suoi storici avversari ideologici, molti osservatori – da prospettive anche molto diverse – hanno cominciato a intravedere nelle trasformazioni contemporanee i segnali di uno ‘svuotamento’ delle istituzioni democratiche. In termini fortemente polemici, Sheldon Wolin ha per esempio definito la democrazia americana come un «totalitarismo rovesciato», e Colin Crouch ha individuato la tendenza dei sistemi politici occidentali a spostarsi verso un assetto «post-democratico». Charles Tilly ha proposto l’idea di una tendenza alla «de-democratizzazione», mentre Peter Mair ha formulato l’ipotesi di una progressiva ‘depoliticizzazione’ delle democrazie occidentali (e in particolare di quelle dei paesi membri dell’Ue). Ma attorno al «malessere democratico» è cresciuto un dibattito sterminato, che è si interrogato soprattutto sul rischio che processi complessi – e in larga parte ‘strutturali’ – vadano obliterare le garanzie «procedurali» della democrazia, tanto da ‘svuotare’ la forma democratica di qualsiasi sostanza politica. Queste ipotesi suggeriscono cioè che gli elementi ‘minimi’ della democrazia competitiva – di solito individuati nel dibattito politologico, a partire da Schumpeter, Dahl, Sartori – non siano sufficienti a garantire la democraticità del sistema, impotenti a controllare gli autentici processi decisionali. In modo ancora più radicale, alcune voci sostengono invece che quegli stessi elementi di base siano addirittura sottoposti a un processo di lenta – ma non invisibile – erosione. In altre parole, tendono proprio a chiedersi se le «promesse non mantenute» della democrazia, di cui parlava Norberto Bobbio più di trent’anni fa, non siano divenute così tante, e così rilevanti, da aver del tutto snaturato i caratteri dei regimi occidentali contemporanei. Nella domanda che pone il dibattito si nasconde certo anche una vibrata polemica contro l’ennesimo ‘tradimento’ della democrazia, e cioè contro l’abbandono (più o meno consapevole) dei valori che alimentano l’aspirazione alla democrazia. Ma nel dibattito non difficile riconoscere anche un nodo più che intricato, che attiene direttamente alla stessa descrizione ‘realistica’ di quanto avviene all’interno di un regime democratico. Le voci che affollano il contemporaneo dibattito sulla «crisi» della democrazia svolgono infatti anche una critica che considera l’esistenza di una competizione fra élite politiche per la conquista del voto popolare come un criterio eccessivamente limitato per la definizione della democrazia. Al tempo stesso, pongono – seppur solo in filigrana – anche una domanda ulteriore, che viene a mettere in questione la stessa pretesa di «realismo» che, fin dalle origini, contrassegna la teoria competitiva della democrazia. Una domanda che, in sostanza, punta a chiedersi se la formazione di nuove élite transnazionali, la trasformazione dei partiti, lo sviluppo della comunicazione politica e l’insieme dei processi di globalizzazione non vengano a ‘svuotare’ le istituzioni democratiche postbelliche a tal punto da determinare una loro modificazione strutturale, capace di alterare la stessa struttura genetica del regime democratico e di condurre a qualcosa di diverso, a una condizione inedita di «postdemocrazia». Il panel intende inserirsi in questa discussione sul «malessere della democrazia» ponendo una domanda specifica, centrata non tanto sulla rilevazione empirica degli elementi che testimonierebbero la «crisi», quanto sulla stessa definizione teorica della «democrazia». La domanda di fondo è se la definizione ‘classica’ (o ‘neo-classica’) della «democrazia», elaborata nel corso del Novecento, non richieda di essere approfondita e aggiornata, per tenere conto di ulteriori elementi, ed eventualmente in quale direzione. L’obiettivo del panel è dunque quello di sollecitare contributi alla discussione sul «malessere» della teoria democratica. In particolare, sono sollecitati paper che si concentrino, anche problematicamente e criticamente, su questi aspetti: - la discussione teorica sulla «democrazia», i suoi fondamenti valoriali, i suoi elementi distintivi, le sue trasformazioni; - il dibattito teorico sulla «crisi della democrazia» e i suoi aspetti critici; - il dibattito teorico sui concetti di «postdemocrazia», «de-democratizzazione», «de-politicizzazione» delle istituzioni democratiche.  



Chair: Damiano Palano

Una cospicua letteratura ha da molti anni sottolineato come le tendenze legate ai fenomeni di “personalizzazione” e“presidenzializzazione” dei sistemi politici occidentali abbiano inciso anche sull’organizzazione interna dei partiti, rafforzando il ruolo dei leader e in generale degli organi direttivi rispetto alla base e all’organizzazione diffusa sul territorio. Pur con significative differenze, non potendo disporre di solide identificazioni e del riferimento a chiare coordinate ideologiche, i diversi partiti che calcano le scene delle nostre democrazie – siano essi riconducibili al “catch-all-party”, al “cartel party”, al “partito personale”, al partito “mediale” o ad altre formule – fanno d’altronde dell’immagine dei loro leader la principale risorsa simbolica e comunicativa. Al tempo stesso, le rilevazioni sulla percezione della classe politica testimoniano come, in pressoché tutte le democrazie occidentali, la fiducia nei confronti di chi occupa cariche politiche sia estremamente bassa e come il ceto politico sia considerato quasi invariabilmente come incapace, inadeguato e corrotto. Il paradosso per cui i nostri sistemi politici, pur nutrendosi del carisma di “grandi capi”, sono contrassegnati da una sfiducia pressoché generalizzata nei confronti di leader percepiti come “pessimi”, pone una questione teorica significativa, che riguarda la stessa possibilità di valutare la “qualità” della leadership politica? Per capire se davvero la percezione di avere di fronte una classe politica “mediocre” è fondata, sarebbe infatti necessario disporre di criteri per stabilire i meriti e i demeriti del personale politico. Si dovrebbero inoltre individuare specifiche aree operative e determinati obiettivi rispetto a cui valutare l’efficacia (o inefficacia) dell’azione del ceto politico. E, infine, si dovrebbe chiarire se la “qualità” della classe politica vada valutata sulla base dell’etica della “responsabilità” o della “convinzione”. Questo panel intende sollecitare contributi che ‘prendano sul serio’, dal punto di vista teorico o empirico, il problema della valutazione della classe politica, senza limitarsi a recepire il “senso comune” intorno allo scarso livello dell’attuale classe politica, ma, al tempo stesso, senza rinunciare all’obiettivo di “valutare” la sua “qualità”. Sono più in particolare sollecitati contributi che prendano in considerazione questi aspetti: - la possibilità di valutare la “qualità” della classe politica; - la relazione tra “qualità” della classe politica e organizzazione partitica; - la relazione tra “qualità” della classe politica e processo democratico; - l’influenza che i meccanismi di selezione hanno sul profilo della classe politica. 

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