di Damiano Palano
Esce in questi giorni per i tipi di Nino Aragno, il volume di Gianfranco Miglio, Le origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell'età moderna (pp. 195, euro 20.00). Si tratta della tesi di laurea, finora inedita, discussa nel 1940 dall'allora giovane studioso all'Università Cattolica. Il testo è preceduto da una Presentazione di Lorenzo Ornaghi e da un'introduzione di Damiano Palano che ricostruisce gli inizi del percorso scientifico di Miglio e da cui è tratto il brano seguente. Questa anticipazione è apparsa su "Avvenire" mercoledì 30 maggio 2018.
La mattina di sabato 15 giugno 1940, la prima pagina del «Corriere
della Sera» salutava trionfalmente l’ingresso delle truppe tedesche a Parigi,
titolando a caratteri cubitali: «La bandiera del Reich sventola sull’Eliseo e
sulla Torre Eiffel». Poco più sotto, il quotidiano milanese non tralasciava di
ricordare ai lettori le «vittoriose azioni aeree e navali italiane», e
segnalava inoltre – indicando su una mappa dell’Europa e dell’Africa
settentrionale i principali teatri del conflitto – come Le Havre e il Nord
della Francia fossero ormai caduti sotto il pieno controllo tedesco. Solo
cinque giorni prima, il 10 giugno, dichiarando dinanzi alla folla assiepata a
Piazza Venezia che era scoccata l’ora delle «decisioni irrevocabili», Benito
Mussolini aveva annunciato la dichiarazione di guerra a Francia e Regno Unito,
e dunque l’ingresso dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale, al fianco dell’alleato
tedesco. […] In quella stessa mattina, così cupa per le sorti del Vecchio
continente, il ventiduenne Gianfranco Miglio si recava nella sede di piazza
Sant’Ambrogio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per discutere la
propria tesi di laurea in Giurisprudenza, dal titolo, piuttosto altisonante, Le
origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche
nell’età moderna. I documenti conservati presso l’Archivio dell’Università
Cattolica […] non consentono di ricostruire né l’andamento della discussione,
né in quali termini il relatore della tesi, Giorgio Balladore Pallieri,
presentò il lavoro dello studente. Ma quasi certamente la commissione rimase
favorevolmente impressionata dall’elaborato e dalla personalità del giovane
Miglio, che in effetti ottenne il massimo dei voti (centodieci e lode),
concludendo così nel modo migliore, oltre che nel più breve tempo possibile, il
proprio percorso universitario.
Il programma delineato dal titolo della tesi, oltre che dall’indice del
lavoro, annunciava un’ampia ricostruzione della genesi storica del diritto
internazionale moderno, a partire dalla nascita e dai primi sviluppi
dell’ordine giuridico della Christiana
Respublica nell’alto Medioevo, fino alla formazione del moderno ordine
interstatale, tra il XVI e il XVII secolo. Molto probabilmente gli sviluppi
politici, il clima della mobilitazione generale e la prospettiva per Miglio –
come per tutti i giovani della sua generazione – di essere chiamato a sostenere
in prima persona lo sforzo bellico dovettero consigliare la chiusura anticipata
del lavoro. Benché sviluppasse compiutamente la ricostruzione relativa alle
dottrine medioevali, alla nascita e al consolidamento della Christiana Respublica, l’elaborato
svolgeva infatti solo in parte il programma originario promesso dal titolo,
fermandosi in realtà ben prima della soglia della modernità. Ciò
nondimeno il giovane laureando non esitava a presentare alla commissione,
insieme alla parte svolta, l’intero progetto, anteponendo all’elaborato – oltre
a una suggestiva epigrafe groziana – un’Avvertenza
diretta a chiarire come l’accelerazione degli eventi internazionali e
l’ingresso in guerra dell’Italia avessero interrotto la stesura del testo. […]
Tornare a rileggere oggi quel testo – rimasto inedito per i quasi ottant’anni trascorsi dalla sua stesura – consente di ricostruire un tassello importante della formazione intellettuale di Gianfranco Miglio. Accostarsi nuovamente alla vecchia tesi di laurea dello studioso comasco appare infatti interessante innanzitutto perché contribuisce a chiarire quale fosse la sensibilità con cui lo studioso, sviluppando in modo originale le indicazioni del maestro Balladore Pallieri, puntava a indagare le trasformazioni delle dottrine giuridiche internazionalistiche nel passaggio dal Medioevo alla prima età moderna. Ma forse è meritevole di attenzione soprattutto perché di fatto quel testo, con l’indice dell’intero lavoro (e dunque anche della parte non svolta) e il prezioso catalogo di autori rilevanti per la storia delle dottrine internazionalistiche medievali, rappresenta – insieme al saggio sul Defensor pacis di Marsilio da Padova e al volume sulla controversia intorno ai limiti del «commercio neutrale» svoltasi tra Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando Galiani, entrambi pubblicati nel 1942 – l’unica traccia rilevante del progetto Humana Respublica, cui il giovane Miglio attese per diversi anni e che fu poi abbandonato. Quel progetto si proponeva infatti di ricostruire le tappe storiche e i diversi tentativi di edificare un ordine giuridico internazionale in grado di limitare il ricorso alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie. Dopo la fine del conflitto mondiale, probabilmente anche per il delinearsi del nuovo equilibrio delle Guerra fredda, Miglio però abbandonò la grande ricerca sulla Humana Respublica (per la quale aveva già accumulato una notevole mole di materiali) e accantonò anche gli interessi internazionalistici, che sarebbero tornati al centro delle sue ricerche solo quarant’anni dopo. La ricostruzione della genesi delle dottrine giuridiche della Christiana Respublica e l’esame delle trasformazioni della dottrina della «guerra giusta» svolti nella tesi di laurea rimangono così il documento forse più significativo di quella fase giovanile di riflessione. E la sua rilettura – che viene ad arricchire il panorama già disponibile degli scritti scientifici e politici dello studioso comasco – consente, se non proprio di gettare una nuova luce sul suo itinerario, comunque di interpretare in modo più compiuto la stessa logica di un percorso che nel corso dei decenni lo avrebbe condotto a interrogarsi sui caratteri specifici dell’esperienza politica occidentale, sulla struttura originaria del rapporto di «obbligazione politica» e sull’esistenza delle inflessibili «regolarità» dei fenomeni politici, prima di volgersi – a partire dagli anni Ottanta – al campo dell’«ingegneria costituzionale» e all’elaborazione di modelli istituzionali di impronta neo-federalista.