di
Damiano Palano
Illustrando
a Praga i progetti militari degli Stati Uniti, Barack Obama nel 2009 annunciò
l’intenzione di ridurre sensibilmente gli arsenali nucleari di Washington.
«Guideremo il mondo verso una pace senza armi nucleari», disse l’allora
neo-presidente, precisando però che, fino al raggiungimento di quell’obiettivo,
gli Usa avrebbero conservato i loro armamenti. A meno di dieci anni di distanza,
la prospettiva evocata da Obama – su cui è tornato anche papa Francesco nel
discorso alle Nazioni Unite del marzo 2017 – sembra essere piuttosto lontana.
Anzi, dopo i test messi in atto dalla Corea del Nord, l’incubo di un conflitto
nucleare è tornato ad aleggiare sulla politica mondiale, come non accadeva
dalla stagione più cupa della Guerra fredda. E non è certo casuale che il Nobel
per la Pace sia stato assegnato nel 2017 proprio alla coalizione di
organizzazioni non governative Ican che ha come obiettivo la messa al bando
degli ordigni nucleari. Ma la possibilità di un conflitto atomico è davvero credibile?
Dobbiamo realmente preoccuparci delle minacce di Pyongyang? E il programma
nucleare iraniano costituisce potenzialmente un rischio? Naturalmente non è
facile rispondere a queste domande, ma un contributo utile per accostarsi a
questa serie di interrogativi è offerto dal volume di Jack Caravelli e Jordan Foresi,
La minaccia nucleare. La crisi coreana, i
problemi di controllo degli arsenali, il rischio terrorismo (Nutrimenti,
pp. 185, euro 16.00). Grazie alla conoscenza del tema di Caravelli, per oltre
trent’anni analista della Cia e impegnato in diversi programmi per la non
proliferazione, il volume fornisce un quadro della situazione e dei prossimi
possibili sviluppi. L’intento non è tanto quello di spaventare i lettori,
quanto quello di informare sulla realtà che rappresenta oggi la minaccia
nucleare. Innanzitutto viene chiarita dunque la mappa del ‘club nucleare’, che
comprende oggi nove membri: Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India,
Pakistan, Israele e Corea del Nord. Più del novanta per cento delle armi
atomiche appartiene a Washington e Mosca. E circa settanta di questi ordigni
sono collocati in Italia (tra le basi di Ghedi e di Aviano). Il crollo
dell’Urss e la fine dello scontro bipolare non hanno dunque modificato
sostanzialmente la situazione precedente, anche perché l’arsenale nucleare
sovietico – nonostante le preoccupazioni dei primi anni Novanta del secolo
scorso – è rimasto saldamente in mano russa. Ma certo il mutamento degli
equilibri potrebbe incidere anche su questo aspetto. E la capacità di tenere
sotto controllo la proliferazione nucleare potrebbe essere messa in crisi da
parte del nuovo quadro geopolitico.
La sfida della Corea del Nord
e le rivendicazioni iraniane potrebbero essere già un annuncio del nuovo
scenario. In realtà da questo punto di vista l’opinione di Caravelli e Foresi è
piuttosto cauta. Anche se le minacce di Pyongyang creano più di qualche
difficoltà a Pechino, la caduta del regime nord-coreano riaprirebbe una serie di
questioni capaci di destabilizzare l’intera area. È dunque probabile che il
risultato sia, almeno per ora, la conservazione dello status quo. Ma in questo modo le tensioni non verrebbero meno. La
situazione iraniana potrebbe invece essere aggravata soprattutto
dall’atteggiamento adottato dall’amministrazione Trump, perché il
‘decisionismo’ americano potrebbe – per questioni formali, più che sostanziali
– isolare la posizione di Washington.
Specie dopo alcune
dichiarazioni del presidente americano, non vanno però trascurati altri fattori
di rischio, relativi all’utilizzo che degli armamenti nucleari potrebbero fare
gli Stati Uniti. Una questione cruciale è legata infatti all’ipotesi di
sviluppare «piccole armi nucleari», da utilizzare come armi tattiche sul campo
di battaglia. Una soluzione di questo tipo modificherebbe infatti completamente
la logica degli attori. L’equilibrio della Guerra fredda si fondava sulla
convinzione che il ricorso alle armi atomiche avrebbe comportato la reciproca
distruzione dei contendenti. Per questo nessuno avrebbe attaccato ‘per primo’.
Ma evidentemente l’introduzione di armi nucleari ‘tattiche’ potrebbe cambiare
drasticamente la logica. E creare situazioni di tensione davvero difficili da
gestire.
Damiano Palano
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