di
Damiano Palano
Questa recensione al volume di Adam Greenfield, Tecnologie radicali. Il progetto della vita quotidiana (Einaudi, pp. 321, euro 22.00), è apparsa, con il titolo Smart city. Incubo e opportunità, su "Avvenire" del 23 febbraio 2018.
«Chi
non ha vissuto gli anni prima della rivoluzione non può capire che cosa sia la
dolcezza del vivere», diceva una famosa frase di Talleyrand. Forse tra qualche
anno anche noi rimpiangeremo nostalgicamente la «dolcezza del vivere»
precedente alla rivoluzione che sta modificando rapidamente (e senza che ce ne
rendiamo conto) le nostre vite quotidiane. Nell’estate del 2007, quando entrò
in commercio il primo iPhone, la gran parte di noi pensò d’altronde si trattasse
solo di una nuova versione di telefono mobile, un po’ più elaborata delle
precedenti. In pochi avevano compreso che quell’oggetto sarebbe diventato il
compagno inseparabile delle nostre giornate, il custode di tutta la nostra vita
più intima, il primo oggetto che tocchiamo al mattino e l’ultimo che guardiamo
prima di addormentarci. Probabilmente neppure oggi – anche se passiamo talvolta
ore a strofinare i polpastrelli sullo schermo dei nostri smartphone – ci
rendiamo davvero conto di cosa tutto questo comporti. E cosa significhi, per le
relazioni che abbiamo con i nostri simili e per lo stesso rapporto con la
realtà che ci circonda, il fatto che tutto il mondo passi da quei piccoli
schermi che ci portiamo costantemente appresso.
Non sono mancate negli ultimi
anni analisi anche fortemente critiche sulla trasformazione tecnologica e sui
rischi che essa comporta. In questa letteratura – che certo potrebbe essere
accusata di un eccesso di pessimismo, ma che offre comunque intuizioni preziose
– si inserisce anche il libro di Adam Greenfield, Tecnologie radicali. Il progetto della vita quotidiana (Einaudi,
pp. 321, euro 22.00), che cerca di prevedere quali saranno nel nostro immediato
futuro le direzioni della trasformazione. Greenfield esamina infatti gli
sviluppi imminenti di tecnologie che già ci sono familiari ma che nei prossimi
anni avranno uno sviluppo ulteriore. E oltre agli smartphone, considera dunque
l’internet delle cose, la realtà virtuale e aumentata, la stampa in 3D, la
criptovaluta, la blockchain e l’apprendimento automatico. A tenere insieme
tutte queste tecnologie – questa è la tesi centrale – è un unico obiettivo:
organizzare nel modo più efficiente (e comodo) la vita quotidiana. Ma il
crescente controllo che acquisiamo in questo modo sul mondo circostante è solo
apparente. Per utilizzare strumenti che certo ci facilitano molte operazioni, e
che per esempio ci guidano in una città sconosciuta grazie alle mappe che
consultiamo sul nostro smartphone, dobbiamo cedere una parte della nostra privacy. La stessa cosa avverrà in un
futuro molto vicino con l’internet delle cose, che ci consentirà di tenere
sotto controllo gli elettrodomestici di casa anche da molto lontano. O mediante
le pratiche della measured life, con
la quale potremo monitorare il nostro stato di forma e le nostre performance
sportive. Anche se non ne siamo consapevoli, in tutti questi modo cederemo (e
già cediamo oggi) dati che riguardano la nostra sfera privata e persino la
dimensione più intima della nostra quotidianità. E non importa che i visionari
che hanno progettato molte delle nuove tecnologie avessero tutt’altri
obiettivi.
Ma oltre ai problemi etici
che nascono e alle concentrazioni di potere che questa enorme mole di dati
implica, c’è un altro lato oscuro che Greenfield sottolinea. Tutti i tentativi
di controllare la realtà ci lasciano in preda ogni volta a un senso di
sopraffazione, di sfinimento, proprio perché non siamo neppure consapevoli
della pressione che pesa su di noi. La nostra vita è già talmente disseminata
nelle maglie dei data center, delle infrastrutture di trasmissione e dei
dispositivi di interfaccia che – quasi come fossimo dei cyborg – siamo costretti ad andare ovunque ci conduca questo
apparato. La nostra autonomia di scelta viene così risucchiata dentro i
meccanismi di una logica che si autoalimenta. E di fatto viene esclusa ogni
credibile via di uscita.
Naturalmente non è detto che tutte
queste tendenze siano destinate a realizzare una distopia alla Philip Dick. E
d’altronde anche Greenfield elabora diversi scenari possibili, non tutti così
negativi. Ma è necessaria una dose notevole di ottimismo per immaginare che
queste tendenze possano essere gestite democraticamente. O per credere che la
promessa di dare a ciascuno un pieno controllo sull’ambiente e sulla propria
vita non si risolva nella manipolazione pervasiva (e quasi sempre invisibile)
dei nostri comportamenti. E proprio per evitare che questi scenari diventino
reali – e che il miraggio della smart
city si trasformi nell’incubo di una totalitaria «società del controllo» – dovremmo
almeno cercare di conoscere meglio il funzionamento e la logica delle nuove
tecnologie.
Damiano Palano