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venerdì 9 febbraio 2018

Rosanvallon: per rispondere al populismo, «complichiamo» la democrazia




di Damiano Palano

Questa recensione al volumetto di Pierre Rosanvallon Pensare il populismo (Castelvecchi, pp. 40, euro 5.00), è uscito su "Avvenire" il 16 gennaio 2018.

Nel maggio 1967, in occasione di un celebre convegno organizzato presso la London School of Economics, Isaiah Berlin osservò che il dibattito sul populismo rischiava di rimanere vittima del «complesso di Cenerentola», perché gli studiosi sembravano sempre vagare alla ricerca di un caso paradigmatico di populismo, capace di calzare perfettamente la ‘scarpetta’ di una definizione teorica. La formula di Berlin coglieva in effetti un punto fortemente problematico, e d’altronde anche oggi, a mezzo secolo di distanza, l’oggetto «populismo» appare persino più sfuggente di quanto non risultasse allora. 
La discussione su cosa sia davvero il populismo, e su quali siano i casi storici da avvicinare all’«essenza» del fenomeno, si protrae infatti da decenni senza giungere a soluzioni condivise. In questo dibattito si inserisce anche il volumetto di Pierre Rosanvallon Pensare il populismo (Castelvecchi, pp. 40, euro 5.00), che rappresenta un altro piccolo tassello della riflessione dedicata dallo studioso francese alle trasformazioni della democrazia. Da più di trent’anni Rosanvallon è infatti impegnato a scrivere una «storia concettuale del politico», centrata non solo sui mutamenti intervenuti a livello istituzionali e sociale, ma soprattutto sul modo in cui viene pensata la «vita in comune». Con questa impostazione, lo studioso si è prima rivolto al passaggio della Rivoluzione francese e alle diverse modalità con cui il popolo sovrano è stato immaginato. E più di recente, in particolare nel suo famoso Controdemocrazia. La politica nell’età della sfiducia, ripubblicato ora con una nuova introduzione di Luca Scuccimarra (Castelvecchi, pp. 286, euro 18.50), si è dedicato alle difficoltà che contrassegnano le dinamiche dei sistemi politici occidentali.
In Pensare il populismo gli elementi di questa inesausta ricerca sono ‘distillati’ in alcune pagine densissime che affrontano il tema del «populismo»: un tema che è sfuggente proprio perché è il «popolo» stesso ad essere inafferrabile. Per Rosanvallon non è comunque sufficiente deprecare il populismo come una deformazione, facendo della parola uno spauracchio. Ma piuttosto va riconosciuto, al tempo stesso, come il sintomo di un disagio e l’espressione di un’illusione che opera mediante tre semplificazioni. In primo luogo, con una semplificazione politica, perché concepisce il popolo come unitario ed evidente. In secondo luogo, con una semplificazione procedurale, contestando il sistema rappresentativo e appellandosi direttamente al popolo. In terzo luogo, semplificando la concezione del legame sociale, perché «pensa che ciò che costituisce la coesione di una società sia la sua identità e non la qualità interna dei rapporti sociali». Ma in realtà, scrive Rosanvallon, la realizzazione della democrazia passa dalla complicazione e non dalla semplificazione. «Nessuno può pretendere di essere il ‘detentore’ del popolo, nessuno può pretendere di essere il suo portavoce». Anche se la democrazia si fonda sul principio maggioritario, la maggioranza non rappresenta cioè tutta la società. E per realizzare concretamente la democrazia è dunque necessario dare voce alle altre forme in cui il popolo si articola e si presenta. Oggi uno dei problemi principali non è d’altronde solo autorizzare una decisione, ma anche «produrre una vita comune» che non può esaurirsi solo nell’effervescenza elettorale. Per questo, «complicare la democrazia», dando voce alle molte articolazioni del popolo, per Rosanvallon vuol dire anche «trovare i mezzi per produrre un legame comune che fornisca senso, produrre una società che non sia un semplice insieme di individui».


Damiano Palano

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