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lunedì 18 dicembre 2017
Votare non è più democratico? Le elezioni e la “sindrome da stanchezza democratica”. Un saggio dalla rivista "Spazio filosofico"
di Damiano Palano
Questo articolo è apparso sulla rivista online "Spazio filosofico"
Rileggendo oggi Solar Lottery di Philip K. Dick, è quasi scontato riconoscere come già in quel primo romanzo fossero presenti molti dei motivi che avrebbero in seguito contrassegnato la produzione dello scrittore americano. Risulta in effetti evidente sin dalle prime pagine come la sua idea della science-fiction tendesse a fuoriuscire dal perimetro di una letteratura di genere destinata allora prevalentemente a un pubblico di giovani (e giovanissimi) lettori, e come la sua raffigurazione di un remoto futuro fosse in realtà una critica della società americana degli anni Cinquanta. Ma più di sessant’anni dopo la sua pubblicazione, si può forse intravedere in Solar Lottery anche una sorprendente prefigurazione delle società dell’inizio del XXI secolo e dei processi che investono le democrazie occidentali. In quel vecchio romanzo Dick immaginava infatti che le società occidentali avessero adottato il sistema della lotteria non solo per distribuire le merci ma anche per assegnare il potere politico. I governanti non erano dunque scelti dagli elettori e le procedure di voto erano state sostituite dall’estrazione a sorte di un Quizmaster, al quale era affidato un potere sostanzialmente assoluto. E proprio per questo, se certo la distopia di Dick prefigurava la nascita dell’“azzardo di massa”, lo scenario allestito nel romanzo può essere letto anche come l’anticipazione – certo estrema – di un ripensamento del ruolo che il momento della scelta elettorale ricopre nelle democrazie contemporanee. L’insoddisfazione nei confronti del canale elettivo – inteso come criterio qualificante di un assetto democratico – è in effetti cresciuta negli ultimi due decenni, alimentando un fitto dibattito sulla “crisi” e sul “disagio” della democrazia. A partire soprattutto dagli anni Novanta, molti osservatori hanno riconosciuto un paradosso almeno in parte inedito. A fronte di un significativo aumento del numero complessivo delle democrazie nel mondo, hanno iniziato a rilevare un “deterioramento” delle democrazie “mature”. In sostanza, i sistemi politici occidentali continuano a presentare quegli elementi che il dibattito politologico – sulla scorta della vecchia definizione di Joseph A. Schumpeter – non cessa di considerare distintivi di un regime democratico, ossia l’utilizzo di elezioni competitive come strumento per selezionare i leader cui assegnare, per un periodo di tempo limitato, la funzione di governo. Ma, secondo molte voci, il ricorso alle elezioni non rappresenta più una garanzia di reale democraticità, sia perché la competizione risulta ristretta ad attori politici con piattaforme programmatiche molto simili, sia perché la formazione delle decisioni politiche principali sembra passare da altri canali, sia perché la partecipazione popolare alla vita politica si riduce, approfondendo sempre più il distacco tra cittadini e classe politica. [...]
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