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sabato 7 ottobre 2017

Waldemar Gurian: l’avventura di un «pubblicista cattolico»




di Damiano Palano



Questa recensione al volume di Waldemar Gurian, Società secolare e religioni politiche, a cura di Umberto Lodovici, è apparsa su “Avvenire” del 6 ottobre 2017, con il titolo Gurian: la politica e il dovere dello scrittore cattolico.



Nel 1933 la casa editrice Vita e Pensiero pubblicò un volume dal titolo Il Bolscevismo, firmato da Waldemar Gurian, un giovane intellettuale cattolico tedesco poco più che trentenne. Il volume proponeva una chiave di lettura originale del regime politico nato dalla rivoluzione russa, che anticipava molte delle future riflessioni sui caratteri del «totalitarismo». Dopo la Seconda guerra mondiale, il testo fu nuovamente riproposto al pubblico italiano, ma il suo autore rimase sostanzialmente sconosciuto, così come gran parte della sua riflessione. Un invito importante a riscoprire la personalità di Gurian viene invece ora dall’antologia Società secolare e religioni politiche, curata da Umberto Lodovici e pubblicata dall’editrice Historica nella nuova collana «Lo scrittoio del Segretario» diretta da Alessandro Campi (pp. 238, euro 17.00).

All’indomani della morte, avvenuta prematuramente nel 1954, la «Review of Politics», che aveva fondato quindici anni prima, scrisse che «il destino personale e storico» aveva posto Gurian «al centro del vortice del XX secolo». Era nato infatti nel 1902 in Russia, a San Pietroburgo, da una famiglia ebrea, ma all’età di nove anni aveva lasciato il paese natale per trasferirsi a Berlino, insieme alla madre, che si convertì al cattolicesimo e nel 1914 fece battezzare il figlio. Tranne che negli anni del primo conflitto mondiale (durante i quali dovette spostarsi in Olanda), svolse i propri studi in Germania, conseguendo il dottorato nel 1923 sotto la guida di Max Scheler. Non intraprese la carriera accademica, ma iniziò un’intensa attività pubblicistica, che si protrasse fino all’avvento al potere del nazionalsocialismo, quando fu costretto a emigrare prima in Svizzera e poi negli Usa. Ricostruendo la trama delle sue relazioni si scopre che Gurian fu soprattutto – come scrisse Hannah Arendt nel necrologio per l’amico – un uomo di grandi amicizie. Il suo percorso si era intrecciato per esempio con quello di Carl Schmitt, di cui aveva letto alla metà degli anni Venti Cattolicesimo romano e forma politica, restandone affascinato. Ma si legò anche alla rivista «Die Schildgenossen» e a Romano Guardini, di cui Gurian apprezzava soprattutto l’idea che concepiva la libertà in armonia con l’obbedienza. Negli anni della repubblica di Weimar, Gurian riteneva infatti che la crisi della società liberale potesse essere arginata solo con il recupero di un ordine tradizionale. In questa prospettiva il «pubblicista cattolico» – come scrisse in un saggio raccolto nell’antologia – doveva prendere nettamente le distanze dal modello secolarizzato e dall’esempio illuminista, di cui Voltaire era il paradigma. E doveva soprattutto esprimere un giudizio sulla propria epoca, offrire un orientamento, senza assecondare l’opinione pubblica confermandone le convinzioni.

L’entusiasmo che lo aveva avvicinato a Schmitt fu di breve durata. Già nella seconda metà degli anni Venti il giurista divenne infatti ai suoi occhi l’esempio di un «cattolicesimo secolarizzato», se non addirittura di un «nichilismo conservatore». La diffidenza doveva inoltre tramutarsi in avversione nel 1933, quando Schmitt appoggiò il regime hitleriano. Da quel momento Gurian divenne il più severo critico di Schmitt, che definì il «giurista della corona» del nazionalsocialismo. Parallelamente, l’incontro con Jacques Maritain indusse Gurian a ripensare la giovanile critica della democrazia, che cominciò a concepire come un sistema di governo capace di tutelare i diritti umani.

Dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti, nel 1937, divenne un punto di riferimento per molti intellettuali emigrati dal Vecchio continente, che trovarono nelle pagine della «Review of Politics» un luogo in cui riflettere sul passato e sul futuro. Chiamato a insegnare nella prestigiosa Notre Dame University, continuò a svolgere la propria interpretazione del totalitarismo come «religione politica». La sua ipotesi era che si dovessero distinguere nettamente i regimi autoritari da quelli totalitari. «I movimenti totalitari», osservava per esempio in un saggio del 1952, erano «fondamentalmente movimenti religiosi», che non puntavano semplicemente a conquistare il potere o a promuovere un mutamento socio-economico, ma piuttosto a ottenere un dominio pieno su ogni sfera della vita, «a una rifondazione della natura umana e della società». E due anni dopo, discutendo con Hannah Arendt, precisò che le diverse forme di totalitarismo erano «religioni politico-sociali secolarizzate», che con il loro potere «sostituiscono Dio e le religioni istituzionali come la Chiesa». Naturalmente quella interpretazione del totalitarismo era il frutto della «guerra civile mondiale». Ma anche oggi, molti decenni dopo, quelle ipotesi continuano a rivelarsi ricchissime di sollecitazioni. E anche per questo i vecchi scritti di Gurian meritano di essere riscoperti.


Damiano Palano

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