di
Damiano Palano
Questa recensione al volume di Cass R. Sunstein, #Republic. La democrazia nell’epoca dei social media (Il Mulino, pp. 344), è apparsa su "Avvenire" il 24 ottobre 2017.
Sono
passati quasi settant’anni da quando George Orwell iniziò a scrivere 1984, ma il romanzo dell’intellettuale
britannico non cessa di entusiasmare sempre nuovi lettori. La nostra idea del
totalitarismo sarebbe d’altronde diversa senza le straordinarie invenzioni
letterarie della «neolingua» e del
«bis-pensiero». E persino la nostra concezione della pervasività del potere non
sarebbe la stessa se il romanzo di Orwell non fosse stato dominato dall’occhio
onnipresente del Grande Fratello. Benché sia tornata in testa alle preferenze
dei lettori anche grazie alla discussione su «post-verità» e fake news, la più celebre distopia
novecentesca non è però probabilmente adeguata
a cogliere le trasformazioni che stanno investendo i nostri sistemi politici. O
almeno questa è l’opinione sostenuta da
Cass R. Sunstein, nel suo ultimo libro #Republic.
La democrazia nell’epoca dei social media (Il Mulino, pp. 344). Docente di Diritto alla Harvard Law School, Sunstein
ha ricoperto diversi incarichi durante l’amministrazione Obama ed è noto
soprattutto per le sue proposte sulle strategie del «paternalismo libertario», sviluppate
per esempio in Nudge (Feltrinelli),
oltre che per Il mondo secondo Star Wars
(Università Bocconi Editore). Negli ultimi anni Sunstein si è però dedicato in
modo approfondito anche ai mutamenti del contesto comunicativo. Ed è proprio in
questo filone che si colloca #Republic,
un libro che coglie nella rivoluzione innescata dai social media una minaccia
per le basi su cui si reggono le nostre democrazie. La minaccia, sostiene
Sunstein, non viene infatti dall’emergere di un nuovo Grande Fratello e non
assomiglia neppure alla forzata spensieratezza consumista prefigurata da Aldous
Huxley nel Brave New World. I rischi
provengono piuttosto dal potere della personalizzazione, dalla chiusura in
micro-comunità sempre più impermeabili, dall’isolamento nei bozzoli informativi
che crescono giorno dopo giorno intorno a ognuno di noi.
Nel 1995 Nicholas Negroponte
profetizzò l’imminente nascita del «Daily Me», una specie di quotidiano confezionato
per ciascun singolo individuo sulla base dei suoi gusti, dei suoi interessi,
dei suoi orientamenti. Naturalmente il «Daily Me» non è mai nato. Ma la
diffusione dei social media non produce effetti molto diversi. Innanzitutto, ciascun
individuo ha sempre più potere di selezionare ciò che vuole vedere, per esempio
quando, utilizzando Facebook, decide di leggere i post e le notizie segnalategli
da qualche «amico» (e tralascia invece altri link). In secondo luogo, gli
algoritmi adottati da Facebook e Google filtrano ulteriormente i flussi
informativi, sulla base dei gusti del singolo (ricostruiti sulla base delle sue
scelte precedenti). I diversi filtri che selezionano le informazioni
provenienti dal mondo reale chiudono così ciascuno di noi sempre più dentro una
bolla ‘personalizzata’, in cui tutte le notizie e le opinioni vanno di fatto
nella stessa direzione e confermano le nostre posizioni consolidate. Dentro la
cassa di risonanza in cui ci troviamo rinchiusi, le nostre opinioni escono inoltre
fatalmente rafforzate. E sul terreno strettamente politico tutto questo
favorisce, secondo Sunstein, la diffusione di posizioni sempre più estreme,
persino violente, che possono diventare potenzialmente pericolose.
A giocare un ruolo rilevante
secondo Sunstein sono innanzitutto le cyber-cascate,
che favoriscono la diffusione sia di opinioni fondate su fatti accertati, sia di
dicerie e fake news. In secondo
luogo, i bozzoli informativi costruiti dai social media e dal filtro degli
algoritmi rafforzano la tendenza alla polarizzazione
che opera sempre all’interno di gruppi omogenei. In terzo luogo, negli scambi
comunicativi è sempre all’opera ciò che gli psicologi definiscono la biased assimilation, ossia una sorta di
pregiudizio che ci induce inconsapevolmente a filtrare le informazioni sulla
base delle nostre convinzioni di partenza. In altre parole, come dimostrano
molti esperimenti, anche se leggiamo post, articoli e libri che sostengono tesi
diverse a proposito di uno stesso problema (per esempio l’utilità e i rischi
dei vaccini o le cause del riscaldamento globale), quasi invariabilmente
‘filtriamo’ tra tutte queste argomentazioni solo quelle che confermano la
nostra convinzione di partenza. E ciò significa che anche la dimostrazione più
convincente dell’infondatezza di una fake
news può rivelarsi inutile. Meccanismi di questo genere ovviamente hanno
sempre caratterizzato la diffusione delle opinioni. Ma l’omofilia agevolata dai
social media – e cioè la tendenza a entrare in comunicazione prevalentemente
con individui simili a noi (per orientamenti politici, gusti musicali,
preferenze gastronomiche e altro) – innesca le cyber-cascate e accelera la spinta alla polarizzazione.
Un’opinione fortemente
polarizzata e un sistema comunicativo frammentato non possono che favorire la
paralisi politica e mettere in pericolo l’edificio democratico. Un’opinione
pubblica frammentata, la polarizzazione e l’estremismo rendono infatti sempre
più difficile il dialogo tra le forze politiche, tanto che diventa quasi
impossibile affrontare molte questioni fondamentali. Per scongiurare questi
rischi, Sunstein indica alcune soluzioni che potrebbero arginare la
frammentazione dei sistemi informativi. Per esempio sostiene la necessità di
reintrodurre un margine di ‘casualità’ nel tipo di informazione in cui un
individuo può imbattersi. E auspica il rafforzamento di quelle esperienze
comuni capaci di coinvolgere l’intera comunità e dunque di rompere le «bolle»
costruite dai filtri che ci circondano. Benché Sunstein si voglia tenere ben
lontano dal pessimismo e dalla nostalgia di un passato mitizzato, è però evidente
che simili rimedi finiscono con l’apparire piuttosto ingenui. Se davvero, come
è probabile, l’ambiente mediale procede nella direzione indicata da Sunstein,
queste soluzioni non sembrano infatti neppure poter scalfire la scorza più
superficiale dei bozzoli informativi. Proprio per questo l’avvento della bubble democracy – che per molti versi è
già una realtà – richiede l’invenzione di ben altri strumenti. E forse anche
una buona dose di immaginazione politica.
Damiano Palano