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domenica 17 settembre 2017

Quel terrorista di un ingegnere. Un libro di Gambetta ed Hertog sui legami tra terrorismo e istruzione tecnica




di Damiano Palano

Questa recensione a D. Gambetta e S. Hertog, Ingegneri della jihad. I sorprendenti legami tra istruzione ed estremismo (Università Bocconi Editore, Milano, 2017), è uscita su «Avvenire», con il titolo Il Jihad degli ingegneri, il 21 luglio 2017.

In seguito agli attentati anarchici che sconvolsero l’Europa sul finire dell’Ottocento, medici, psicologi e scienziati sociali iniziarono a indagare la «mente del terrorista», alla ricerca di anomalie psichiche capaci di portare alla luce le radici della violenza. Attraversando più di un secolo di storia, quella ricerca giunge sino a noi. Ma i risultati non sono a tutt’oggi particolarmente significativi. Molti studiosi ritengono anzi che i terroristi siano «persone normali» e che le spiegazioni non vadano ricercate a livello piscologico ma nel contesto sociale o nelle dinamiche economiche. In una direzione opposta si muove invece la ricerca di Diego Gambetta e Steffen Hertog, Ingegneri della jihad. I sorprendenti legami tra istruzione ed estremismo (Università Bocconi Editore, pp. 231, euro 21.90), che sviluppa una spiegazione quantomeno suggestiva. Il punto di partenza dell’indagine è la consistente presenza di laureati in ingegneria tra i membri dei gruppi islamici radicali attivi nei paesi musulmani a partire dagli anni Settanta. Se in questi paesi i laureati in ingegneria rappresentano l’11,6% degli studenti di sesso maschile, nel campione di membri di organizzazioni radicali islamiste considerato da Gambetta ed Hertog essi rappresentano invece il 44,9% di chi ha compiuto studi superiori, mentre risultano quasi assenti i laureati in materie umanistiche e scienze sociali. Naturalmente una simile predisposizione degli ingegneri alla violenza politica potrebbe dipendere dalla «deprivazione relativa» e dalle ambizioni frustrate di questo gruppo professionale, che in effetti a partire dagli anni Settanta è stato una delle principali vittime del fallimento delle politiche di industrializzazione. Ma questa spiegazione non soddisfa i due studiosi per diversi motivi. E uno di questi è che gli ingegneri sono sovra-rappresentati anche tra gli jihadisti occidentali (tra cui il livello di istruzione è peraltro mediamente più basso).
Gambetta e Hertog naturalmente non intendono sostenere che il tipo di disciplina studiata favorisca o meno l’ingresso in un’organizzazione estremista, né, com’è ovvio, che in ogni ingegnere si annidi un potenziale terrorista. La tesi è invece che le caratteristiche psicologiche che inducono a scegliere studi di ingegneria (o comunque materie scientifiche) siano le medesime che possono spingere ad aderire a organizzazioni estremiste. Ma Gambetta ed Hertog non si fermano qui. Ritengono infatti che «tipi» diversi di persone – ossia con tratti psicologici differenti – siano attratti da tipi diversi di estremismo. In sostanza, alcuni tratti emotivi e cognitivi – come la propensione al disgusto, il «bisogno di chiusura cognitiva», l’impulso a stabilire rigide demarcazione tra i membri del proprio gruppo e gli altri, la tendenza al «semplicismo» - spingerebbero sia verso l’estremismo di destra, sia verso l’islamismo radicale. Proprio questi tratti sono presenti, in misura particolarmente rilevante, tra gli studenti di ingegneria e di materie scientifiche. E questo spiegherebbe dunque perché gli ingegneri sono più presenti tra gli estremisti islamici e di destra, mentre i laureati e gli studenti di materie umanistiche e di scienze sociali sono sovra-rappresentati tra le formazioni estremiste di sinistra.
I risultati di Gambetta ed Hertog non possono essere certo liquidati sbrigativamente. E la stessa ipotesi secondo cui alcuni tratti cognitivi ed emotivi spingerebbero verso l’estremismo va considerata molto seriamente, se non altro perché molte ricerche stanno portando alla luce le radici psicologiche degli orientamenti politici. Ma è anche ovvio che si tratta di un terreno accidentato, nel quale è facile inciampare in distorsioni e semplificazioni. Uno dei problemi della ricerca di Gambetta ed Hertog riguarda per esempio l’affinità tra estremismo di destra e jihadismo, argomentata in modo piuttosto aneddotico e impressionistico. I casi di organizzazioni che Gambetta ed Hertog utilizzano per controllare le loro ipotesi sono inoltre davvero poco omogenei. Ma il punto maggiormente critico riguarda il ruolo delle ideologie. I due studiosi sembrano infatti ritenere che le ideologie siano costrutti monolitici, coerenti e costanti nel corso del tempo. Ma le cose sono in realtà molto diverse. La stessa distinzione tra «destra» e «sinistra» non ha un ‘contenuto’ ideologico davvero immutabile, perché si tratta in gran parte di una distinzione ‘relazionale’, che acquista cioè significati diversi a seconda delle varie stagioni storiche e dei contendenti in campo. E quando sostengono che determinati tratti di personalità spingono verso l’estremismo di «destra» o di «sinistra», Gambetta ed Hertog rischiano allora di cadere in un determinismo psicologico che finisce col dimenticare la complessità della politica e della cultura.

Damiano Palano



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