di
Damiano Palano
Questa recensione a D. Gambetta e S. Hertog, Ingegneri della jihad. I sorprendenti legami tra istruzione ed estremismo (Università Bocconi Editore, Milano, 2017), è uscita su «Avvenire», con il titolo Il Jihad degli ingegneri, il 21 luglio 2017.
In
seguito agli attentati anarchici che sconvolsero l’Europa sul finire
dell’Ottocento, medici, psicologi e scienziati sociali iniziarono a indagare la
«mente del terrorista», alla ricerca di anomalie psichiche capaci di portare
alla luce le radici della violenza. Attraversando più di un secolo di storia, quella
ricerca giunge sino a noi. Ma i risultati non sono a tutt’oggi particolarmente significativi.
Molti studiosi ritengono anzi che i terroristi siano «persone normali» e che le
spiegazioni non vadano ricercate a livello piscologico ma nel contesto sociale
o nelle dinamiche economiche. In una direzione opposta si muove invece la
ricerca di Diego Gambetta e Steffen Hertog, Ingegneri
della jihad. I sorprendenti legami tra istruzione ed estremismo (Università
Bocconi Editore, pp. 231, euro 21.90), che sviluppa una spiegazione quantomeno
suggestiva. Il punto di partenza dell’indagine è la consistente presenza di
laureati in ingegneria tra i membri dei gruppi islamici radicali attivi nei
paesi musulmani a partire dagli anni Settanta. Se in questi paesi i laureati in
ingegneria rappresentano l’11,6% degli studenti di sesso maschile, nel campione
di membri di organizzazioni radicali islamiste considerato da Gambetta ed
Hertog essi rappresentano invece il 44,9% di chi ha compiuto studi superiori,
mentre risultano quasi assenti i laureati in materie umanistiche e scienze
sociali. Naturalmente una simile predisposizione degli ingegneri alla violenza
politica potrebbe dipendere dalla «deprivazione relativa» e dalle ambizioni
frustrate di questo gruppo professionale, che in effetti a partire dagli anni
Settanta è stato una delle principali vittime del fallimento delle politiche di
industrializzazione. Ma questa spiegazione non soddisfa i due studiosi per
diversi motivi. E uno di questi è che gli ingegneri sono sovra-rappresentati
anche tra gli jihadisti occidentali (tra cui il livello di istruzione è
peraltro mediamente più basso).
Gambetta
e Hertog naturalmente non intendono sostenere che il tipo di disciplina
studiata favorisca o meno l’ingresso in un’organizzazione estremista, né, com’è
ovvio, che in ogni ingegnere si annidi un potenziale terrorista. La tesi è
invece che le caratteristiche psicologiche che inducono a scegliere studi di
ingegneria (o comunque materie scientifiche) siano le medesime che possono
spingere ad aderire a organizzazioni estremiste. Ma Gambetta ed Hertog non si
fermano qui. Ritengono infatti che «tipi» diversi di persone – ossia con tratti
psicologici differenti – siano attratti da tipi diversi di estremismo. In
sostanza, alcuni tratti emotivi e cognitivi – come la propensione al disgusto,
il «bisogno di chiusura cognitiva», l’impulso a stabilire rigide demarcazione
tra i membri del proprio gruppo e gli altri, la tendenza al «semplicismo» -
spingerebbero sia verso l’estremismo di destra, sia verso l’islamismo radicale.
Proprio questi tratti sono presenti, in misura particolarmente rilevante, tra
gli studenti di ingegneria e di materie scientifiche. E questo spiegherebbe
dunque perché gli ingegneri sono più presenti tra gli estremisti islamici e di
destra, mentre i laureati e gli studenti di materie umanistiche e di scienze
sociali sono sovra-rappresentati tra le formazioni estremiste di sinistra.
I
risultati di Gambetta ed Hertog non possono essere certo liquidati
sbrigativamente. E la stessa ipotesi secondo cui alcuni tratti cognitivi ed
emotivi spingerebbero verso l’estremismo va considerata molto seriamente, se
non altro perché molte ricerche stanno portando alla luce le radici
psicologiche degli orientamenti politici. Ma è anche ovvio che si tratta di un
terreno accidentato, nel quale è facile inciampare in distorsioni e
semplificazioni. Uno dei problemi della ricerca di Gambetta ed Hertog riguarda
per esempio l’affinità tra estremismo di destra e jihadismo, argomentata in
modo piuttosto aneddotico e impressionistico. I casi di organizzazioni che
Gambetta ed Hertog utilizzano per controllare le loro ipotesi sono inoltre
davvero poco omogenei. Ma il punto maggiormente critico riguarda il ruolo delle
ideologie. I due studiosi sembrano infatti ritenere che le ideologie siano
costrutti monolitici, coerenti e costanti nel corso del tempo. Ma le cose sono
in realtà molto diverse. La stessa distinzione tra «destra» e «sinistra» non ha
un ‘contenuto’ ideologico davvero immutabile, perché si tratta in gran parte di
una distinzione ‘relazionale’, che acquista cioè significati diversi a seconda
delle varie stagioni storiche e dei contendenti in campo. E quando sostengono
che determinati tratti di personalità spingono verso l’estremismo di «destra» o
di «sinistra», Gambetta ed Hertog rischiano allora di cadere in un determinismo
psicologico che finisce col dimenticare la complessità della politica e della
cultura.
Damiano Palano
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