di
Damiano Palano
Questa nota sulle elezioni tedesche è uscita sul "Giornale di Brescia" venerdì 29 settembre 2017.
Il
risultato ottenuto da Alternative für Deutschland nelle elezioni tedesche ha
comprensibilmente destato più di qualche allarme. Il ritorno sulla scena
politica di una formazione di destra radicale dopo molti anni richiama
inevitabilmente alla mente gli spettri del passato. E il fatto che i deputati
di Afd occuperanno quasi un quinto dei seggi del Bundestag non può essere certo
trascurato. Ma, al di là di questi aspetti, i risultati delle elezioni tedesche
fanno emergere soprattutto una serie di tendenze importanti. Innanzitutto,
confermano l’erosione dei consensi ai partiti tradizionali, un dato
particolarmente rilevante in un paese come la Germania, in cui i grandi partiti
di massa hanno a lungo dimostrato una notevole capacità di resistere ai
mutamenti sociali e politici. Non si tratta comunque solo di una dinamica innescata
dalla crisi economica o dai flussi migratori. A partire dagli anni Novanta il
numero di elettori fluttuanti anche in Germania è infatti progressivamente
cresciuto, proprio a danno delle forze tradizionali. Se ancora nel 1998 i due
partici storici, Cdu/Csu e Spd, si spartivano più del 75% dei suffragi, oggi
quella percentuale si è ridotta a poco più del 50%. Una seconda tendenza è
rappresentata inoltre dalla spinta alla polarizzazione. In altre parole, gli
elettori sembrano guardare sempre meno alle forze ‘moderate’, collocate al centro
dello spazio politico, e tendono invece a spostarsi verso le ali estreme.
Un
terzo aspetto su cui attirare l’attenzione riguarda infine l’assetto
complessivo del sistema partitico tedesco, che con le elezioni di domenica ha smarrito alcune
delle sue caratteristiche distintive. Tanto che la sua fisionomia appare oggi
un po’ più simile a quella che contrassegnava la Germania di Weimar. Il sistema
elettorale proporzionale, corretto da una significativa soglia di sbarramento,
aveva infatti consentito a lungo di limitare il numero dei partiti. E una serie
di interventi del Tribunale costituzionale aveva contribuito allo stesso risultato,
decretando lo scioglimento di alcune formazioni estremiste. Per effetto di
questi vincoli, la competizione si svolse per circa quattro decenni principalmente
tra Cdu/Csu e Spd, con il piccolo partito liberale a svolgere una funzione di
ago della bilancia. L’ingresso in parlamento dei Verdi e poi la riunificazione
tedesca iniziarono invece a modificare il quadro. E le elezioni di domenica
hanno sancito la transizione a un nuovo assetto. Il fatto che al Bundestag
siano ora presenti ben sei partiti (Cdu/Csu, Spd, Afd, i liberali di Fdp, i
Verdi e la sinistra radicale) non configura semplicemente un aumento del numero
dei protagonisti. Ma innesca probabilmente una nuova dinamica. Utilizzando le
vecchie categorie di Giovanni Sartori, il pluripartitismo tedesco cessa di
essere “limitato” e “moderato” per diventare “estremo” e soprattutto
“polarizzato”. Un sistema contrassegnato cioè da un elevato numero di partiti,
dalla presenza di formazioni “anti-sistema” (o percepite come tali), da un’elevata
distanza ideologica tra gli attori, e soprattutto – proprio come la vecchia
Repubblica di Weimar - caratterizzato da una spinta centrifuga. Perché le ali
estreme, escluse da qualsiasi possibile maggioranza, tenderanno probabilmente a
radicalizzare la loro propaganda, erodendo sempre di più le dimensioni del
‘centro’.
È
ancora presto per capire se il ridimensionamento delle forze moderate sia un
dato congiunturale o qualcosa di più. Ma è probabile che nei prossimi anni la polarizzazione,
nelle sue diverse componenti, sia destinata a crescere in tutte le democrazie
occidentali. Non solo per gli effetti della crisi economica, per il
risentimento che cova nelle classi medie occidentali e per la percezione di
insicurezza che domina nell’opinione pubblica. Ma anche per le caratteristiche
del nuovo contesto comunicativo in cui operano gli attori politici. Oggi molti
cittadini traggono infatti le loro informazioni da un medium ‘personalizzato’
come internet, e non più da un medium generalista come la tv. E anche un simile
mutamento è destinato a favorire la crescente polarizzazione. Gli elettori di
domani (ma forse lo sono già oggi) non saranno più il “pubblico” relativamente
compatto e omogeneo del medesimo spettacolo politico, ma potrebbero
frammentarsi in una miriade di segmenti autoreferenziali e sempre più
‘polarizzati’. Il nuovo contesto potrebbe allora aprire ulteriori spazi di
manovra alle forze che si presentano come “sfidanti” dell’establishment. E persino
la Germania potrebbe correre il rischio di imboccare ancora una volta la strada
per Weimar.
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