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giovedì 21 settembre 2017

E Boldrini mise lo sprint al cane a sei zampe. Una biografia di Marcello Boldrini, dall'accademia all'Eni di Enrico Mattei


di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Maurizio Romano, Cultura e petrolio, Marcello Boldrini dall'Università Cattolica ai vertici dell'Eni, è apparsa su "Avvenire" del 26 luglio 2017. 

Nella primavera del 1948, mentre si trovava nel suo appartamento milanese, il professor Marcello Boldrini, docente di Statistica all’Università Cattolica, ricevette una telefonata inattesa. Alzata la cornetta, sentì una voce conosciuta che gli diceva: «Sei stato appena nominato presidente dell’Agip». A quella notizia Boldrini replicò: «Cosa ne so io dell’Agip? Sono uno studioso…». All’altro capo del filo era naturalmente Enrico Mattei, da tre anni commissario straordinario dell’Agip, che invitò il professore ad andare a trovarlo a Roma, riattaccando senza dare troppe spiegazioni. Anche per questo Boldrini rimase persuaso – come disse alla moglie – che si sarebbe trattato solo di «una questione di mesi». In realtà le cose sarebbero andate diversamente, perché l’impegno ai vertici dell’industria pubblica si sarebbe protratto molto più a lungo. Qualche anno dopo, nel 1953, sarebbe stato infatti chiamato alla vicepresidenza dell’Eni, di cui nel 1962, all’indomani della morte di Mattei, avrebbe anche assunto la presidenza.
Della figura di Boldrini (1890-1969) è stato spesso ricordato soprattutto il contributo alla formazione culturale di Mattei, ma mancava una completa ricostruzione del suo percorso. Uno strumento prezioso in questa direzione giunge ora dal volume dello storico Maurizio Romano, Cultura e petrolio. Marcello Boldrini dall’Università Cattolica ai vertici dell’Eni (Il Mulino, pp. 373, euro 30.00), che segue puntualmente le diverse tappe di una carriera articolata. Nato nelle Marche, a Matelica, Boldrini, dopo essersi diplomato in Ragioneria a Perugia, si iscrisse nel 1908 all’Università Bocconi, dove iniziò a maturare un interesse soprattutto per la statistica demografica ed economica. Per perfezionarsi in questo ambito, dopo la laurea si trasferì a Padova, dove Corrado Gini a partire dal 1913 aveva creato un centro di studi statistici all’avanguardia. Al termine della Grande guerra Boldrini continuò a collaborare con Gini ed ebbe anche un’importante esperienza presso il Segretariato della Società delle Nazioni. Ma il giovane studioso di Matelica doveva presto tornare a Milano, dove nel 1921 era nata l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo avere ottenuto la libera docenza, nel 1922 Boldrini giunse infatti nell’Ateneo milanese come professore straordinario di Statistica e Demografia, e nello stesso anno – grazie al sostegno del rettore Agostino Gemelli – fondò un Laboratorio di Statistica di cui sarebbe rimasto direttore per circa trent’anni. Fu inoltre preside della Facoltà di Scienze politiche, dal 1935 al 1947, e in seguito della neonata Facoltà di Economia e commercio, prima di trasferirsi nel 1955 a Roma, dove ricoprì la cattedra che era stata di Gini.
Nella sua attività di ricerca Boldrini si occupò soprattutto di questioni demografiche, concentrandosi in particolare sullo studio delle cause del declino della natalità e intervenendo anche nel delicato dibattito sull’«eugenica». Dopo la conquista dell’Etiopia e a seguito del progressivo avvicinamento dell’Italia alla Germania di Hitler, l’indagine demografica doveva però diventare sempre più problematica, per l’infiltrazione di pesanti distorsioni ideologiche e il rischio di intimidazioni politiche. All’interno dell’Ateneo di piazza Sant’Ambrogio e nella Facoltà di Scienze politiche Boldrini divenne comunque un punto di riferimento per un gruppo di studiosi – come Amintore Fanfani, Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni – destinati a giocare un ruolo di primo piano nella stagione repubblicana e nella futura Democrazia cristiana. 
E già negli ultimi anni di guerra svolse un ruolo determinante nel far entrare in contatto con questi ambienti l’amico e conterraneo Mattei, che in effetti nel 1943 divenne comandante delle formazioni partigiane democristiane e che, anche per le grandi capacità organizzative dimostrate, fu nominato nel 1945 commissario straordinario dell’Agip.
Nel giugno 1948, quando Boldrini divenne presidente, l’Agip era ancora una piccola società dal futuro totalmente incerto. Nel 1969, al momento della morte del professore di Matelica, l’Eni era invece ormai un vero e proprio impero economico, spesso al centro di polemiche e critiche anche feroci. Come mostra Romano, lo statistico che Mattei volle alla guida dell’azienda del cane a sei zampe fu un attore non marginale di quel successo. Convinto assertore della centralità dell’impresa pubblica nel processo di sviluppo economico, sostenne sul piano intellettuale la battaglia contro chi vedeva nel «monopolio» dell’Eni una lesione della libertà d’impresa. Ma grazie alle sue competenze e alla sua autorevolezza promosse anche una costante collaborazione tra mondo della ricerca e mondo dell’impresa pubblica, in una prospettiva che guardava ben oltre i confini nazionali. E, al di là di ogni bilancio sul ruolo e l’operato dell’Eni nello sviluppo italiano, proprio questi elementi – come scrive Lorenzo Ornaghi nelle pagine introduttive al volume – rendono Boldrini l’esempio di una classe dirigente portatrice di un’ampia «visione culturale» e al tempo stesso capace di tradurre la tensione ideale in azione concreta.   


Damiano Palano

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