di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Maurizio Romano, Cultura e petrolio, Marcello Boldrini dall'Università Cattolica ai vertici dell'Eni, è apparsa su "Avvenire" del 26 luglio 2017.
Nella primavera del 1948, mentre si
trovava nel suo appartamento milanese, il professor Marcello Boldrini, docente
di Statistica all’Università Cattolica, ricevette una telefonata inattesa.
Alzata la cornetta, sentì una voce conosciuta che gli diceva: «Sei stato appena
nominato presidente dell’Agip». A quella notizia Boldrini replicò: «Cosa ne so
io dell’Agip? Sono uno studioso…». All’altro capo del filo era naturalmente
Enrico Mattei, da tre anni commissario straordinario dell’Agip, che invitò il
professore ad andare a trovarlo a Roma, riattaccando senza dare troppe
spiegazioni. Anche per questo Boldrini rimase persuaso – come disse alla moglie
– che si sarebbe trattato solo di «una questione di mesi». In realtà le cose
sarebbero andate diversamente, perché l’impegno ai vertici dell’industria
pubblica si sarebbe protratto molto più a lungo. Qualche anno dopo, nel 1953,
sarebbe stato infatti chiamato alla vicepresidenza dell’Eni, di cui nel 1962,
all’indomani della morte di Mattei, avrebbe anche assunto la presidenza.
Della
figura di Boldrini (1890-1969) è stato spesso ricordato soprattutto il
contributo alla formazione culturale di Mattei, ma mancava una completa
ricostruzione del suo percorso. Uno strumento prezioso in questa direzione
giunge ora dal volume dello storico Maurizio Romano, Cultura e petrolio. Marcello Boldrini dall’Università Cattolica ai
vertici dell’Eni (Il Mulino, pp. 373, euro 30.00), che segue puntualmente
le diverse tappe di una carriera articolata. Nato nelle Marche, a Matelica,
Boldrini, dopo essersi diplomato in Ragioneria a Perugia, si iscrisse nel 1908
all’Università Bocconi, dove iniziò a maturare un interesse soprattutto per la
statistica demografica ed economica. Per perfezionarsi in questo ambito, dopo
la laurea si trasferì a Padova, dove Corrado Gini a partire dal 1913 aveva
creato un centro di studi statistici all’avanguardia. Al termine della Grande
guerra Boldrini continuò a collaborare con Gini ed ebbe anche un’importante
esperienza presso il Segretariato della Società delle Nazioni. Ma il giovane
studioso di Matelica doveva presto tornare a Milano, dove nel 1921 era nata
l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo avere ottenuto la libera docenza, nel
1922 Boldrini giunse infatti nell’Ateneo milanese come professore straordinario
di Statistica e Demografia, e nello stesso anno – grazie al sostegno del
rettore Agostino Gemelli – fondò un Laboratorio di Statistica di cui sarebbe
rimasto direttore per circa trent’anni. Fu inoltre preside della Facoltà di
Scienze politiche, dal 1935 al 1947, e in seguito della neonata Facoltà di Economia
e commercio, prima di trasferirsi nel 1955 a Roma, dove ricoprì la cattedra che
era stata di Gini.
Nella
sua attività di ricerca Boldrini si occupò soprattutto di questioni
demografiche, concentrandosi in particolare sullo studio delle cause del
declino della natalità e intervenendo anche nel delicato dibattito sull’«eugenica».
Dopo la conquista dell’Etiopia e a seguito del progressivo avvicinamento
dell’Italia alla Germania di Hitler, l’indagine demografica doveva però diventare
sempre più problematica, per l’infiltrazione di pesanti distorsioni ideologiche
e il rischio di intimidazioni politiche. All’interno dell’Ateneo di piazza
Sant’Ambrogio e nella Facoltà di Scienze politiche Boldrini divenne comunque un
punto di riferimento per un gruppo di studiosi – come Amintore Fanfani,
Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni – destinati a giocare un ruolo di primo piano nella
stagione repubblicana e nella futura Democrazia cristiana.
E già negli ultimi
anni di guerra svolse un ruolo determinante nel far entrare in contatto con
questi ambienti l’amico e conterraneo Mattei, che in effetti nel 1943 divenne
comandante delle formazioni partigiane democristiane e che, anche per le grandi
capacità organizzative dimostrate, fu nominato nel 1945 commissario
straordinario dell’Agip.
Nel
giugno 1948, quando Boldrini divenne presidente, l’Agip era ancora una piccola
società dal futuro totalmente incerto. Nel 1969, al momento della morte del
professore di Matelica, l’Eni era invece ormai un vero e proprio impero
economico, spesso al centro di polemiche e critiche anche feroci. Come mostra
Romano, lo statistico che Mattei volle alla guida dell’azienda del cane a sei
zampe fu un attore non marginale di quel successo. Convinto assertore della
centralità dell’impresa pubblica nel processo di sviluppo economico, sostenne
sul piano intellettuale la battaglia contro chi vedeva nel «monopolio» dell’Eni
una lesione della libertà d’impresa. Ma grazie alle sue competenze e alla sua
autorevolezza promosse anche una costante collaborazione tra mondo della
ricerca e mondo dell’impresa pubblica, in una prospettiva che guardava ben oltre
i confini nazionali. E, al di là di ogni bilancio sul ruolo e l’operato
dell’Eni nello sviluppo italiano, proprio questi elementi – come scrive Lorenzo
Ornaghi nelle pagine introduttive al volume – rendono Boldrini l’esempio di una
classe dirigente portatrice di un’ampia «visione culturale» e al tempo stesso
capace di tradurre la tensione ideale in azione concreta.
Damiano Palano
Nessun commento:
Posta un commento