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sabato 6 maggio 2017

La nazione francese tra il rosso e il nero. Un libro di Marco Gervasoni sulla storia della destra in Francia





di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Marco Gervasoni, La Francia in nero. Storia dell’estrema destra dalla Rivoluzione a Marine Le Pen (Marsilio, pp. 317, euro 17.50), è apparsa su "Avvenire" il 5 maggio 2017, con il titolo Il moderno nazional-populismo? Già visto.

Nel 1886, sulla scena della Terza Repubblica francese irruppe come una meteora la personalità del generale George Boulanger. Per qualche anno attorno al suo nome si addensarono infatti tutti i motivi di malessere che covavano nella società d’Oltralpe. E a molti il generale sembrò davvero incarnare l’«uomo della Provvidenza», capace di liberare la Francia dalla corruzione della classe politica e di far risorgere il paese dopo la traumatica sconfitta patita contro la Prussia. Tutto era cominciato nel momento in cui Boulanger era stato nominato ministro della Guerra. Dopo essere entrato in carica, aveva infatti iniziato a schierarsi a favore delle mobilitazioni operaie, invitando per esempio i soldati a condividere con i minatori in sciopero «la zuppa e il pezzo di pane». Divenne così il paladino dell’estrema sinistra, ma le sue prese di posizione anti-tedesche lo trasformarono anche nel simbolo dei sogni di revanche coltivati da buona parte dell’opinione pubblica. Attorno alla sua figura si strinse così un esercito piuttosto eterogeneo di sostenitori, che comprendeva esponenti del radicalismo di sinistra, avversari del parlamentarismo, qualche anarchico, ma anche monarchici, bonapartisti e soprattutto la Ligue des patriotes di Paul Déroulède. Eletto trionfalmente all’Assemblea nazionale nel gennaio 1889, Boulanger rifiutò l’opzione del colpo di Stato, che molti gli suggerivano. Ma la sua fortuna declinò rapidamente. Il governo chiese infatti l’arresto del generale, accusato di avere complottato contro la Repubblica. Boulanger fuggì all’estero per evitare l’arresto, ma la sua assenza indebolì il movimento, che non ottenne i risultai sperati alle elezioni. E il suicidio in esilio del generale sancì infine, nel 1891, la drammatica conclusione di quella fulminea avventura politica.
Non è certo sorprendente che Marco Gervasoni, nel suo ricco volume La Francia in nero. Storia dell’estrema destra dalla Rivoluzione a Marine Le Pen (Marsilio, pp. 317, euro 17.50), riconosca nell’effimera parabola di Boulanger un vero e proprio punto di snodo. Quel movimento può essere in effetti considerato sotto diversi profili come l’anticipazione di tendenze destinate a maturare nel XX secolo. Innanzitutto perché i sostenitori del generale compresero l’importanza delle nuove tecniche di propaganda, già sperimentate negli Stati Uniti ma in Europa ancora sconosciute. In secondo luogo perché il boulangismo costituì per molti versi il paradigma di un inedito «nazional-populismo» che sfidava la consolidata dicotomia destra-sinistra. Come emerge nitidamente dalla ricostruzione di Gervasoni, fino a quel momento la destra francese si era prevalentemente alimentata alle diverse fonti della «contro-rivoluzione» e del legittimismo. Rispetto a quella tradizione, la vicenda di Boulanger produsse invece una cesura. E fece nascere una nuova destra, le cui matrici culturali attingevano ai miti della rivoluzione francese e della sinistra giacobina. Come il giacobinismo, anche il nuovo nazionalismo francese sospettava infatti degli stranieri, diffidava del parlamento, richiedeva il suffragio universale, ambiva a una legittimazione plebiscitaria del capo da parte delle masse ed era ostile al libero mercato. A questo insieme di elementi, l’affaire Dreyfus aggiunse inoltre la componente anti-semita, mentre l’irrazionalismo e l’antidividualismo vennero rafforzati dalle teorie di naturalisti come Jules Soury e Vacher de Lapouge. E su queste basi prese a delinearsi uno schieramento capace di incidere a livello culturale, che ebbe il principale braccio operativo nell’Action française (destinata peraltro a convertirsi a una posizione neo-monarchica).
Quella vicenda per molti versi si interruppe con la Seconda guerra mondiale e la Repubblica di Vichy. Ma – come d’altronde suggerisce Gervasoni – una logica analoga può essere ritrovata anche nella traiettoria del Front national di Marine Le Pen. Se nella genesi del partito ebbero un peso rilevante la nostalgia neo-fascista e soprattutto l’esperienza della guerra di Algeria, buona parte della sua fortuna recente discende proprio dalla capacità presentarsi come rappresentante autentico del «popolo» tradito dalle élite. E dunque come la forza politica capace di raccogliere la vecchia bandiera della «nazione» repubblicana giacobina, lasciata cadere dalla sinistra e dai partiti tradizionali.

Damiano Palano





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