di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Marco Gervasoni, La Francia in nero. Storia
dell’estrema destra dalla Rivoluzione a Marine Le Pen (Marsilio, pp. 317,
euro 17.50), è apparsa su "Avvenire" il 5 maggio 2017, con il titolo Il moderno nazional-populismo? Già visto.
Nel 1886, sulla scena della Terza Repubblica
francese irruppe come una meteora la personalità del generale George Boulanger.
Per qualche anno attorno al suo nome si addensarono infatti tutti i motivi di
malessere che covavano nella società d’Oltralpe. E a molti il generale sembrò
davvero incarnare l’«uomo della Provvidenza», capace di liberare la Francia
dalla corruzione della classe politica e di far risorgere il paese dopo la
traumatica sconfitta patita contro la Prussia. Tutto era cominciato nel momento
in cui Boulanger era stato nominato ministro della Guerra. Dopo essere entrato
in carica, aveva infatti iniziato a schierarsi a favore delle mobilitazioni
operaie, invitando per esempio i soldati a condividere con i minatori in
sciopero «la zuppa e il pezzo di pane». Divenne così il paladino dell’estrema
sinistra, ma le sue prese di posizione anti-tedesche lo trasformarono anche nel
simbolo dei sogni di revanche
coltivati da buona parte dell’opinione pubblica. Attorno alla sua figura si strinse
così un esercito piuttosto eterogeneo di sostenitori, che comprendeva esponenti
del radicalismo di sinistra, avversari del parlamentarismo, qualche anarchico,
ma anche monarchici, bonapartisti e soprattutto la Ligue des patriotes di Paul
Déroulède. Eletto trionfalmente all’Assemblea nazionale nel gennaio 1889, Boulanger
rifiutò l’opzione del colpo di Stato, che molti gli suggerivano. Ma la sua
fortuna declinò rapidamente. Il governo chiese infatti l’arresto del generale,
accusato di avere complottato contro la Repubblica. Boulanger fuggì all’estero
per evitare l’arresto, ma la sua assenza indebolì il movimento, che non ottenne
i risultai sperati alle elezioni. E il suicidio in esilio del generale sancì infine,
nel 1891, la drammatica conclusione di quella fulminea avventura politica.
Non è certo sorprendente che Marco Gervasoni, nel suo ricco
volume La Francia in nero. Storia
dell’estrema destra dalla Rivoluzione a Marine Le Pen (Marsilio, pp. 317,
euro 17.50), riconosca nell’effimera parabola di Boulanger un vero e proprio
punto di snodo. Quel movimento può essere in effetti considerato sotto diversi
profili come l’anticipazione di tendenze destinate a maturare nel XX secolo.
Innanzitutto perché i sostenitori del generale compresero l’importanza delle
nuove tecniche di propaganda, già sperimentate negli Stati Uniti ma in Europa
ancora sconosciute. In secondo luogo perché il boulangismo costituì per molti
versi il paradigma di un inedito «nazional-populismo» che sfidava la consolidata
dicotomia destra-sinistra. Come emerge nitidamente dalla ricostruzione di
Gervasoni, fino a quel momento la destra francese si era prevalentemente
alimentata alle diverse fonti della «contro-rivoluzione» e del legittimismo.
Rispetto a quella tradizione, la vicenda di Boulanger produsse invece una
cesura. E fece nascere una nuova destra, le cui matrici culturali attingevano ai
miti della rivoluzione francese e della sinistra giacobina. Come il
giacobinismo, anche il nuovo nazionalismo francese sospettava infatti degli
stranieri, diffidava del parlamento, richiedeva il suffragio universale, ambiva
a una legittimazione plebiscitaria del capo da parte delle masse ed era ostile
al libero mercato. A questo insieme di elementi, l’affaire Dreyfus aggiunse inoltre
la componente anti-semita, mentre l’irrazionalismo e l’antidividualismo vennero
rafforzati dalle teorie di naturalisti come Jules Soury e Vacher de Lapouge. E
su queste basi prese a delinearsi uno schieramento capace di incidere a livello
culturale, che ebbe il principale braccio operativo nell’Action française (destinata peraltro
a convertirsi a una posizione neo-monarchica).
Quella vicenda per molti versi si
interruppe con la Seconda guerra mondiale e la Repubblica di Vichy. Ma – come
d’altronde suggerisce Gervasoni – una logica analoga può essere ritrovata anche
nella traiettoria del Front national di Marine Le Pen. Se nella genesi del
partito ebbero un peso rilevante la nostalgia neo-fascista e soprattutto
l’esperienza della guerra di Algeria, buona parte della sua fortuna recente
discende proprio dalla capacità presentarsi come rappresentante autentico del «popolo»
tradito dalle élite. E dunque come la forza politica capace di raccogliere la
vecchia bandiera della «nazione» repubblicana giacobina, lasciata cadere dalla
sinistra e dai partiti tradizionali.
Damiano Palano
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