di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Cristopher Lasch, l paradiso in terra. Il progresso e la sua critica (Neri Pozza, pp. 670, euro 22.00), è apparsa su "Avvenire" del 14 marzo 2017.
Scomparso nel 1994 all’età di
sessantadue anni, Cristopher Lasch rimane una delle figure più originali e
interessanti del panorama intellettuale americano degli ultimi decenni. Nato
negli anni Trenta a Omaha, in Nebraska, Lasch era per molti versi un figlio
della cultura progressista del Middle-West. Influenzato nella propria
formazione da figure come Charles Wright Mills, John Kenneth Galbraith ed
Herbert Marcuse, negli anni Sessanta entrò a far parte della sinistra
protagonista delle mobilitazioni per i diritti civili, delle proteste contro la
guerra del Vietnam e della contestazione antiautoritaria nei campus
universitari. Il suo armamentario teorico, che combinava alcuni elementi della
tradizione americana con Marx e Freud, doveva però ben presto condurlo in una
direzione opposta a quella seguita dai principali alfieri della new left. A partire dalla metà degli
Settanta iniziò infatti a rivedere criticamente le proprie posizione, a
proposito di temi come la liberazione sessuale, l’occupazione femminile e
l’assistenza professionale all’infanzia.
Se i giovani degli anni Sessanta
avevano issato il vessillo della critica a ogni forma di autoritarismo come
condizione per un’autentica liberazione dell’individuo, Lasch riteneva infatti che
i mutamenti nella vita familiare, le trasformazioni del settore educativo e le
nuove pratiche pedagogiche stessero indebolendo ogni capacità di giudizio
indipendente e ogni forma di autodisciplina. Il frutto più noto di questa
riflessione – oggi più attuale che mai – fu probabilmente La cultura del narcisismo, un libro che rileggeva le trasformazioni
intervenute nella cultura americana degli anni Settanta per mostrare come avesse
preso forma una sorta di narcisismo di massa, le cui manifestazioni principali
erano il culto per il corpo, l’ossessione per la vecchiaia, la liberazione
sessuale. Ma Lasch in seguito riesaminare l’intera tradizione della cultura
progressista americana. E da questo punto di vista il suo lavoro più importante
è Il paradiso in terra. Il progresso e la
sua critica, riproposto oggi a un quarto di secolo dalla sua prima
pubblicazione (Neri Pozza, pp. 670,
euro 22.00).
Il libro nasceva innanzitutto dal
tentativo di spiegare l’ascesa della nuova destra reaganiana e della disfatta
di quella sinistra liberal che negli
anni Settanta era invece sembrata egemone nel panorama americano. Ma si
trattava per molti versi solo della premessa per una critica all’idea
illuminista di progresso, comune tanto alla destra quanto alla sinistra. Un’idea che non solo appariva contrassegnata
dalla cieca fiducia riposta nello sviluppo economico e tecnologico, ma che
soprattutto riteneva che la natura non ponesse alcun limite invalicabile al
potere e alla libertà dell’uomo.
Contro
una simile impostazione, Lasch tornava invece a riscoprire la vecchia
tradizione del populismo americano di fine Ottocento, ossia di quel movimento
politico che aveva condotto alla fondazione del People’s Party al principio
degli anni Novanta. Naturalmente il populismo a cui guardava Lasch aveva ben
poco a che vedere con ciò che oggi in Europa si intende con questo termine. Ai
suoi occhi il populismo era soprattutto un movimento contrassegnato da un
atteggiamento che consisteva nell’affermazione della bontà della vita di fronte
ai suoi limiti, e dunque nel rifiuto dello schema progressista di un
miglioramento infinito. Attingendo a una serie quantomeno eterogenea di
contributi – che comprendeva per esempio il socialismo corporativo di G.D.H.
Cole, il realismo morale di Reinhold Niebuhr, la resistenza non violenta di
Martin Luther King – ricostruiva così una tradizione di critica al progresso
contrassegnata dalla consapevolezza dei limiti e dal timore che le comodità
materiali potessero estinguere un ideale più esigente della buona vita. E proprio
questa tradizione secondo Lasch poteva infatti consentire di guardare da una
nuova prospettiva ai problemi del nuovo millennio. «Nel ventunesimo secolo»,
scriveva infatti nelle pagine conclusive, «l’uguaglianza implicherà un
riconoscimento dei propri limiti, morali e materiali, affatto estraneo alla
tradizione del progressismo».
A dispetto dell’interesse della sua
operazione, nel quarto di secolo trascorso dalla pubblicazione del libro di
Lasch, non si può certo dire che il «nuovo populismo» auspicato
dall’intellettuale del Nebraska sia davvero nato, né che l’atteggiamento fondato
sulla consapevolezza del limite abbia messo radici. La sua proposta è stata invece
liquidata per lo più come il rimpianto nostalgico (se non addirittura
reazionario) di un passato irrimediabilmente perduto, mentre l’eredità della
tradizione populista è stata completamente dimenticata. Con un incondizionato
ottimismo, non si è cessato di ritenere che il progresso possa superare ogni
barriera.
Damiano Palano