di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Sabino Cassese, Territori e poteri. Un nuovo ruolo per gli Stati? (il Mulino, pp. 130, euro 12.00), è apparsa su "Avvenire" il 5 gennaio 2017, con il titolo Democrazia al bivio nell’era della globalizzazione.
«Lo Stato personale e sovrano è morto o è sul punto di morire», scrisse nel 1908 il giurista francese Léon Duguit. Da allora, nel corso di più di un secolo, prognosi del medesimo segno sono state riproposte quasi ciclicamente, e ogni volta l’attenzione si è fissata su tendenze destinate a condannare lo Stato alla senescenza. Naturalmente è sin troppo facile smentire simili profezie. Gli Stati sono infatti ancora i principali protagonisti della politica internazionale. Tutti i 193 membri delle Nazioni Unite sono Stati sovrani. E il numero degli Stati negli ultimi quarant’anni, invece di diminuire, è aumentato. Ma se questi dati di fatto (insieme a molti altri) sembrano confermare la vitalità dello Stato, non sono però sufficienti per indurre a scartare del tutto l’ipotesi della «crisi». Sabino Cassese, nel suo recente volume Territori e poteri. Un nuovo ruolo per gli Stati? (il Mulino, pp. 130, euro 12.00), tenta di imboccare proprio una simile direzione, riconoscendo per un verso la capacità di resistenza della configurazione statale, ma prendendo atto, dall’altro, che i confini degli Stati sono oggi tutt’altro che impermeabili a flussi di persone, informazioni e capitali. E sottolineando soprattutto che gli Stati non sono più gli unici attori della regolazione internazionale. Nell’ultimo trentennio è infatti cresciuto il ruolo delle organizzazioni internazionali e sovranazionali, con l’obiettivo di regolare e governare quei flussi che oltrepassano i confini (come per esempio il terrorismo o il riscaldamento del pianeta). Queste organizzazioni, comunque, continuano ad affidarsi proprio agli Stati per esercitare le loro funzioni di regolazione. E la Global Polity non è allora un’alternativa agli Stati nazionali. La globalizzazione non ha cioè realmente ‘espropriato’ lo Stato delle sue funzioni, e anzi l’irrompere dei flussi globali ha addirittura innescato il rafforzamento degli strumenti di intervento nazionali. Gli Stati entrano però a far parte di reti globali, e questo incide sul loro ruolo e sul loro potere. Per un verso gli Stati sono cioè i creatori delle organizzazioni globali, mentre per l’altro ne sono gli agenti. E dunque la sovranità – che i classici del pensiero politico moderno consideravano indivisibile – diventa «condivisa».
Se lo Stato sembra destinato a una lunga vita, anche nel contesto della Global Polity, le cose sono invece molto più complicate per la democrazia rappresentativa, almeno per come l’abbiamo conosciuta. Verso il «basso» la democrazia sembra infatti perdere la capacità di rappresentare le domande della società, innanzitutto perché quel «popolo» cui è solennemente affidato il potere «sovrano» non coincide più con la popolazione che vive su un determinato territorio, ma solo con una sua parte. E una fetta rilevante dei residenti – che godono dei diritti civili, sociali ed economici, ma non di quelli politici – rimane così sostanzialmente esclusa dai meccanismi della rappresentanza. Verso l’«alto» la democrazia sembra invece perdere una parte del proprio potere. Dal momento che la sovranità viene «condivisa» e che una parte dei compiti sono devoluti a organismi sovranazionali, il controllo sull’esercizio di questi compiti diventa solo indiretto. Ma proprio per questo i legami di responsabilità diventano più deboli. E il controllo sulla rete di poteri della Global Polity è destinato a rivelarsi molto spesso del tutto inefficace.
Damiano Palano
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