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sabato 2 luglio 2016
Miglio e la guerra “senza forma”. Una nuova edizione del saggio "Guerra, pace, diritto" con un testo inedito di Massimo Cacciari
di Damiano Palano
Questa recensione alla nuova edizione del saggio di Gianfranco Miglio, Guerra, pace, diritto (La Scuola), è apparsa su "Avvenire" del 1 luglio 2016 con il titolo "L'idea di Miglio sulla regolarità del ciclo politico".
All’inizio degli anni Quaranta del secolo scorso, mentre la tempesta bellica scuoteva l’Europa, Gianfranco Miglio elaborò l’ambizioso progetto di una storia dei diversi tentativi di regolare la guerra compiuti in Occidente. Quel lavoro – che l’allora giovane studioso identificò con la formula «Humana Respublica» - avrebbe dovuto portare alla luce gli ostacoli che avevano impedito la messa al bando della violenza, e cosa avesse dunque sbarrato la strada verso la pace universale. Dopo alcuni anni Miglio abbandonò però quel piano di lavoro perché rivide radicalmente la propria visione delle relazioni tra politica e diritto (e dei rapporti tra politica interna e politica estera). L’incontro teorico con Carl Schmitt – un pensatore sul quale allora gravava ancora, ben più di oggi, il peso del suo sostegno al regime nazionalsocialista – doveva infatti convincere Miglio che il «politico» ha sempre a che vedere con la distinzione tra «amico» e «nemico», e dunque a riconoscere una connessione strutturale tra politica e conflitto. Abbandonata l’ambizione della «Humana Respublica», da quel momento lo studioso comasco avrebbe cercato di unificare in un sistema coerente le «regolarità della politica», e cioè le tendenze connesse all’«essenza» dei fenomeni politici individuate dai grandi pensatori realisti. Per effetto di questa sostanziale revisione teorica, lo studioso avrebbe inoltre accantonato gli interessi internazionalistici per concentrarsi sulle dinamiche interne agli Stati. Ma molti anni più tardi, nella primavera del 1981, mentre in Italia era viva la polemica sugli «Euromissili», Miglio fu invitato a un convegno sulla guerra organizzato dalla sezione veneta dell’Istituto Gramsci. E proprio in quell’occasione tornò a riflettere sulle relazioni fra le comunità politiche, ‘distillando’ i risultati della sua indagine sul tema in una relazione intitolata Guerra, pace, diritto, che viene ora ripubblicata, accompagnata da un saggio introduttivo di Massimo Cacciari (La Scuola, pp. 73, euro 7.90).
Quando delineava la propria «ipotesi generale sulle regolarità del ciclo politico», Miglio rilevava innanzitutto – sulle orme di Max Weber – come lo Stato moderno fosse riuscito a ‘privatizzare’ tutti i conflitti interni e, dunque, a conquistare il «monopolio della forza legittima». Se in questo modo lo Stato era riuscito a ‘pacificare’ il territorio compreso tra i suoi confini, lo spazio esterno era rimasto però irrimediabilmente segnato dalla violenza (almeno in modo potenziale). Rilevare la connessione originaria fra politica e conflitto – una connessione suggerita anche dall’ipotesi di un legame etimologico fra polis e polemos – non significava però arrendersi alla prospettiva di un conflitto senza limiti. Il problema principale che Miglio si poneva era anzi rappresentato dalle condizioni (culturali e tecnologiche) che storicamente avevano consentito di ‘regolare’ il conflitto mediante regole giuridiche.
Il mondo che Miglio aveva di fronte più di trent’anni fa evidentemente non esiste più, e – come rileva opportunamente Cacciari – la guerra sembra oggi diventare davvero una guerra totale, perché senza limiti e senza “forma”. Ciò nonostante meriterebbero di essere riprese almeno alcune delle ipotesi che Miglio delineava, come in particolare quelle relative ai mutamenti innescati sul sistema internazionale dalla comparsa degli arsenali nucleari. Probabilmente, sono infatti anche questi mutamenti che – facendo svanire del tutto la funzione ordinativa della guerra – favoriscono la crescita della conflittualità interna, la disgregazione del «monopolio della forza legittima» e l’erosione della vecchia sovranità statale. E, forse, sono proprio questi stessi mutamenti che rimettono di nuovo al centro la domanda su come pensare oggi una «Humana Respublica».
Damiano Palano
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