di Damiano Palano
Questa recensione a G. Anders, L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica (a cura di Micaela Latini, Mimesis), è apparsa su «Avvenire» il 13 maggio 2016.
La mattina del 6 agosto 1945 il ventisettenne meteorologo texano Claude Eatherly sorvolava la città di Hiroshima a bordo di un aereo da ricognizione. Dopo aver verificato una condizione di buona visibilità, diede il via al bombardiere che lo seguiva. Per qualche minuto il cielo però si coprì di nuvole, per rischiararsi nuovamente poco dopo. E anche per questo il pilota del bombardiere sbagliò il lancio. La prima bomba atomica – Mk1, battezzata «Little Boy» – fu così sganciata non sul quartiere generale giapponese ma sulla città di Hiroshima, provocando la scomparsa istantanea di settantamila persone e la morte nei giorni successivi di altre settantamila. Quell’evento doveva naturalmente segnare l’ingresso dell’umanità nell’Endzeit, nel «tempo della fine», e cioè in una nuova era in cui l’apocalisse nucleare diventava un rischio tangibile. Ma quel giorno segnò anche la vita di Eatherly. Celebrato dall’opinione pubblica come un eroe, negli anni seguenti il giovane meteorologo sprofondò invece nella depressione. Per cancellare la sua immagine positiva compì allora piccoli reati, senza però ottenere la punizione che cercava. E fu invece dichiarato psichicamente infermo e ricoverato in una clinica.
Imbattutosi in una notizia che lo riguardava, Günther Anders (1902-1992) rimase folgorato dall’esperienza di Eatherly. Agli occhi del filosofo tedesco, il pilota era infatti la testimonianza vivente della condizione umana nell’era atomica. Per Anders il 6 agosto 1945 era cominciata l’età del «mondo senza uomo», in cui l’uomo ha la possibilità di annientare la vita sulla terra e di eliminare persino se stesso. E quel giorno era diventato chiaro che l’essere umano era ormai «antiquato», perché risultava incapace di concepire gli effetti delle armi di distruzione in suo possesso. Nel 1959 Anders scrisse allora a Eatherly una prima lettera, nella quale gli mostrava come il suo caso testimoniasse in modo paradigmatico gli effetti della «tecnicizzazione dell’esistenza»: una condizione in virtù della quale «indirettamente e senza saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli effetti», e per cui dunque possiamo diventare «incolpevolmente colpevoli». Eatherly rispose e incominciò così un denso e appassionante colloquio a distanza, raccolto ora nel volume L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica (a cura di Micaela Latini, Mimesis, pp. 231, euro 20.00).
Lo scambio epistolare rimane ancora oggi una testimonianza eccezionale. Non solo perché Eatherly trasse effettivamente un beneficio dal confronto con Anders. Ma soprattutto perché il caso del pilota era anche un esempio della possibilità di resistere alla «banalità del male». Come scriveva d’altronde Anders, Eatherly non era il gemello di Adolf Eichmann, il burocrate dello sterminio degli ebrei in quello stesso periodo sotto processo in Israele, ma sua «la sua grande e (per noi) consolante antitesi». A differenza del funzionario tedesco, non aveva infatti trovato nel «meccanismo» una giustificazione per la propria assenza di coscienza: si era invece assunto la piena responsabilità di un’azione di cui pure non aveva potuto immaginare le conseguenze. E, come scriveva Anders, «assumendo come propria un’azione che ha solo eseguito», Eatherly aveva allora cercato «nell’età dell’apparato, di tener viva la coscienza».
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