di Damiano Palano
Questa recensione al volume di David Graeber, Burocrazia. Perché le regole ci perseguitano e perché ci rendono felici (il Saggiatore, pp. 217, euro 21.00), è apparsa, con il titolo, Burocrazia. Malati d’ufficio, su Avvenire» il 29 aprile 2016.
Il termine «burocrazia» venne probabilmente coniato intorno alla metà del Settecento dal fisiocratico francese Vincent de Gournay. Durante un viaggio compiuto nei principati tedeschi, e in particolare in Prussia, de Gournay fu infatti colpito da quella che appariva ai suoi occhi come una nuova forma di governo, la «burocrazia», ben diversa dalle tre di cui avevano parlato i classici. In questa nuova forma il potere non spettava né al re, né ai nobili, né tantomeno al popolo, ma agli «uffici», e cioè a impiegati, segretari e ispettori, il cui controllo si estendeva ormai a tutte le sfere della vita sociale. In due secoli e mezzo la polemica contro l’invadenza della burocrazia e contro la sua stupidità non si è certo placata. Per buona parte del Novecento si ritenne d’altronde che la macchina burocratica fosse destinata a schiacciare sotto i propri ingranaggi ogni autonomia individuale. E così i romanzi di Kafka fecero dell’assurdità delle procedure burocratiche una metafora della condizione umana, mentre Max Weber profetizzò l’inevitabile vittoria della «gabbia d’acciaio». Il nuovo volume di David Graeber, Burocrazia. Perché le regole ci perseguitano e perché ci rendono felici (il Saggiatore, pp. 217, euro 21.00), torna a interrogarsi sugli effetti della tendenza che Bruno Rizzi, sul finire degli anni Trenta, definì «burocratizzazione del mondo». Naturalmente l’antropologo non punta a riabilitare l’immagine del «potere degli uffici». E d’altronde non potrebbe essere diversamente per un intellettuale che celebra il «potere costituente» dei movimenti e l’importanza della democrazia diretta. Graber ha però il merito di attirare l’attenzione su un aspetto cruciale, spesso trascurato, che riconduce a una «legge ferrea del liberalismo».
A dispetto della retorica della ‘deregolamentazione’ e della ‘semplificazione’, che domina da trent’anni l’agenda di ogni governo, la realtà – sostiene – è andata in una direzione ben diversa. Ogni tentativo di ‘semplificare’ le procedure e di ridurre la burocrazia ha infatti paradossalmente prodotto l’effetto contrario. Anche solo per pagare bollette, acquistare biglietti ferroviari, iscriversi ad associazioni sportive, consultare la propria posizione pensionistica, ognuno di noi si trova quotidianamente alle prese con moduli sempre più lunghi e complicati, predisposti tanto da uffici pubblici quanto da strutture private. Una serie di strumenti inizialmente elaborati nei circoli finanziari e aziendali si è estesa ad altri settori. E parallelamente si è anche registrata un’esplosione del “credenzialismo”: cioè di quel meccanismo che dovrebbe sopperire all’assenza di fiducia reciproca con l’utilizzo di certificati, attestati, riconoscimenti, a loro volta emessi da enti la cui affidabilità è ‘certificata’ da agenzie più o meno indipendenti (e più o meno ‘credibili’). Come nel peggiore dei circoli viziosi, la ‘semplificazione’ delle procedure finisce così con l’aumentare il numero complessivo delle norme, la quantità delle pratiche cartacee e persino il numero dei burocrati.
Più che uno studio sistematico, il libro di Graeber è in realtà un insieme di argute osservazioni impressionistiche. Nonostante alcune preziose intuizioni, all’antropologo sfuggono però alcuni aspetti importanti della «burocratizzazione totale» degli ultimi decenni. Perché per esempio trascura da un lato la perdita pressoché completa dell’autorevolezza dei funzionari pubblici, travolti dal populismo e dalla critica ‘antipolitica’, e dall’altro lo smarrimento di ogni traccia dell’antica concezione dell’officium. Una concezione che, nel processo di costruzione dello Stato moderno, contribuì non poco a trasformare il burocrate, da strumento del potere personale del principe, nel funzionario di un’istituzione impersonale. Ma la cui dissoluzione – a dispetto dell’apparente «burocratizzazione» – tende a far riaffiorare quelle aree di discrezionalità entro cui possono radicarsi nuove forme di potere personale.
Damiano Palano