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martedì 5 gennaio 2016

La parabola della democrazia da Pericle alla globalizzazione. Il nuovo libro di Massimo L. Salvadori



di Damiano Palano

Questa recensione al libro di Massimo L. Salvadori, Democrazia. Storia di un’idea tra mito e realtà (Donzelli, Roma, 2015), è apparsa su "Avvenire" il 2 gennaio 2016. 

Alcuni anni fa, nelle dense pagine di Democrazie senza democrazia, Massimo L. Salvadori dipinse un severo ritratto dei sistemi politici occidentali. Un assetto istituzionale nato come strumento per porre un freno al potere delle oligarchie – argomentava lo storico – si era trasformato nel tempo in qualcosa di molto diverso. E, a dispetto del suo apparente trionfo, la democrazia appariva progressivamente ‘svuotata’ dall’ascesa di nuove potenti oligarchie, prevalentemente economiche e quasi totalmente sottratte al controllo degli Stati. Quella diagnosi può essere considerata come una sorta di prologo al nuovo lavoro di Salvadori, Democrazia. Storia di un’idea tra mito e realtà (Donzelli, pp. 507, euro 35.00), un libro che ricostruisce un viaggio lungo duemila e cinquecento anni. L’analisi parte infatti dall’Atene di Pericle e giunge sino all’età della globalizzazione, toccando una serie di tappe intermedie in cui le trasformazioni istituzionali si intrecciano con la riflessione dottrinaria. 
Nel ripercorrere questa vicenda lo studioso riconosce innanzitutto l’ambiguità che contrassegna il termine «democrazia» fin dalle sue origini greche. Un’ambiguità che si carica nel tempo di ulteriori motivi, quando, soprattutto a partire dalla Rivoluzione francese, la democrazia inizia a essere pensata prevalentemente come democrazia rappresentativa, e quando nel Novecento emergono i partiti di massa. 
Il contributo di Salvadori arricchisce una discussione che negli ultimi anni si è fatta particolarmente intensa. Mentre il 1989 paradossalmente sanciva la vittoria della democrazia sui suoi rivali novecenteschi, molti osservatori iniziarono infatti a denunciare, con ancora maggior forza rispetto al passato, le «promesse non mantenute» degli ideali democratici. Nel quadro di questo fitto dibattito – che ha avuto come protagonisti per esempio studiosi come Colin Crouch, Pierre Rosanvallon e Sheldon Wolin – lo sguardo di Salvadori spicca però soprattutto per l’ipotesi che guida l’indagine. Ciò che forse è più interessante nella sua impostazione è infatti il tentativo di far convivere la tensione verso l’estensione della partecipazione popolare, che caratterizza il pensiero democratico, con uno sguardo realista, che quasi paradossalmente considera la «sovranità popolare» come un «mito». 
Lo storico è infatti ben consapevole che la democrazia in senso proprio – come effettivo potere sovrano del popolo – nel mondo moderno non è mai esistita, né potrà mai essere realizzata. La democrazia rappresentativa lascia d’altronde al popolo solo una quota ridotta di potere reale, consistente nel diritto di votare i propri rappresentanti o di investire i governi. E per molti versi non può essere altrimenti, perché – come avvertivano Gaetano Mosca, José Ortega y Gasset o Joseph A. Schumpeter – ogni regime politico può esprimersi e agire solo per mezzo di élites. Al tempo stesso, il realismo non deve indurre però a rinunciare del tutto alle grandi aspirazioni coltivate dal pensiero democratico nel corso dei secoli. In particolare non può lasciar cadere l’aspirazione all’uguaglianza e alla effettiva garanzia dei diritti politici di tutti i cittadini, e soprattutto delle fasce più deboli della popolazione. Per Salvadori, la democrazia non è così solo un assetto istituzionale e neppure solo un ideale, ma la combinazione di queste due dimensioni. Una simile combinazione nell’ultimo secolo è stata garantita in Occidente dall’incontro tra le istituzioni liberali (arricchite dal suffragio universale) e l’azione politica di masse organizzate. Ma è proprio questo fragilissimo equilibrio a risultare oggi minacciato dall’estendersi delle diseguaglianze, dall’indebolimento delle grandi organizzazioni politiche e sindacali, dalla crescita del potere reale delle élites globali. Ed è per questo insieme di processi che i nostri sistemi politici tendono davvero ad assomigliare a «democrazie a bassa intensità».

Damiano Palano

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