mercoledì 4 novembre 2015

La legittimità difficile nella società della sfiducia. "La legittimità democratica" di Pierre Rosanvallon




di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Pierre Rosanvallon, La legittimità democratica (Rosenberg & Sellier, pp. 311, euro 22.00), è apparsa su "Avvenire" del 30 ottobre 2015.

Il nome di Pierre Rosanvallon è divenuto ormai noto anche ai lettori italiani. In particolare, la pubblicazione alcuni anni fa di un testo come La politica nell’età della sfiducia (Città Aperta), riproposto anche con il titolo Controdemocrazia (Castelvecchi), ha contribuito a diffondere una delle tesi più suggestive di Rosanvallon. Una tesi secondo cui la crescente diffidenza nei confronti della classe politica sarebbe in larga parte l’esito della dilatazione della «controdemocrazia», e cioè della dimensione della critica indirizzata ai detentori del potere. Questa lettura si inquadra però all’interno di una riflessione assai più articolata, sviluppata in una trilogia composta – oltre che da Controdemocrazia e da La Società dell’uguaglianza (Castelvecchi) – anche dal volume La legittimità democratica, la cui traduzione italiana viene pubblicata in questi giorni dall’editore Rosenberg & Sellier (pp. 311, euro 22.00). 
La ricerca di Rosanvallon intreccia costantemente la storia del pensiero e quella delle istituzioni. Per lo studioso francese, il «politico» è infatti una realtà polimorfica, che comprende tanto le modalità con cui un gruppo di individui costruisce un mondo simbolico comune, quanto le regole che concretamente danno vita ad una polis. La democrazia per Rosanvallon non è dunque riducibile esclusivamente a un assetto istituzionale, ma è soprattutto un insieme di aspirazioni e ideali, che definiscono il «senso» della convivenza comune e che si modificano nel tempo. La convinzione al centro dei lavori più recenti di Rosanvallon è d’altronde che l’immaginario democratico, definitosi a partire dall’età delle rivoluzioni, sia attraversato oggi da profonde trasformazioni. Ed è in questo quadro che si colloca l’analisi delle metamorfosi della legittimazione democratica.
Per Rosanvallon, a partire dalla fine dell’Ottocento le democrazie sono venute a fondarsi soprattutto su due piedistalli: il suffragio universale e l’amministrazione pubblica. Innanzitutto, si è considerato legittimo solo il potere che discende dalla volontà popolare e dunque dalle elezioni. In secondo luogo, si è sviluppata anche una visione della legittimità democratica che raffigura l’amministrazione pubblica come garante ‘imparziale’ degli interessi dell’intera nazione. Questi due piedistalli hanno però iniziato a indebolirsi a partire dagli anni Ottanta del Novecento. La legittimazione garantita dalle urne è stata ‘desacralizzata’, perché l’elezione non viene più percepita nei termini di un mandato indiscutibile, che assegna ai politici una legittimazione a priori, ma ha ormai solo la funzione di ‘convalidare’ la designazione dei governanti. Al tempo stesso, anche il potere amministrativo è stato investito da una radicale delegittimazione, e dunque non viene più percepito come il custode dell’interesse generale. Proprio perché le due fonti tradizionali si indeboliscono, le democrazie iniziano a cercare nuovi meccanismi di legittimazione. E Rosanvallon individua in particolare tre nuove figure della legittimità, non più basate sul meccanismo elettivo, ma fondate rispettivamente sull’imparzialità, sulla riflessività e sulla prossimità. 
Esempi differenti di queste nuove figure sono offerti dal sempre più frequente ricorso ad autorità indipendenti di sorveglianza e regolazione, dall’estensione del ruolo ‘riflessivo’ delle corti costituzionali e dall’introduzione di processi di deliberazione che coinvolgono una pluralità di soggetti. Questa trasformazione è però ben lontana dall’aver raggiunto un equilibrio stabile. E, soprattutto, non è affatto scontato che i nuovi meccanismi di legittimazione riescano davvero a contrastare quello che rimane per Rosanvallon lo scenario più insidioso. Uno scenario in cui le spinte convergenti della polemica antipolitica e della ‘depoliticizzazione’ rischiano di dissolvere proprio il mondo simbolico comune su cui si fonda la convivenza democratica.

Damiano Palano

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